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Chi è l'oligarca russo che sbuca dal Russiagate (e fa il vino in Toscana)

Micol Flammini

Trasporti, armi, vigne e un patrimonio di 1,2 miliardi di dollari per Konstantin Nikolaev. E quei rapporti tra Maria Butina

Roma. E’ possibile trovare un punto di incontro tra la Russia, gli Stati Uniti e l’Italia. Un legame, nemmeno troppo sottile, tra i trasporti, le armi e il vino. Konstantin Nikolaev è un oligarca russo, giovane – ha 47 anni – rispetto ai colleghi emersi dalla galassia oligarchica, ucraino di nascita, come molti di loro, ancora non sanzionato dagli Stati Uniti e accolto nella classifica di Forbes degli uomini più ricchi del pianeta. Il suo posto è modesto, è il numero 1999, con un patrimonio di 1,2 miliardi di dollari è il signore dei porti e dei trasporti. La sua ditta, la Globaltrans, è la più grande compagnia privata nel settore e fino a dicembre dello scorso anno possedeva anche la Global Ports, uno dei maggiori operatori portuali russi, ceduta per quasi un miliardo di dollari all’azienda danese Moller-Maersk. Trasporti, armi e vino sono interessi non in conflitto. Anzi, nella storia di Nikoalev sono in continuità, così come i tre paesi in cui la storia dell’oligarca si svolge.

 

Se la sua vita dovesse essere raccontata seguendo formule narrative la Russia e i trasporti sono lo sfondo di questa vicenda, le armi e gli Stati Uniti sono lo spannung, il momento di rottura, e il vino e l’Italia – anzi la Toscana – sono il locus amoenus, il regno del vizio e della fuga. Bisognerebbe iniziare dal momento di rottura per capire cosa, oltre alla sua ricchezza, ha fatto di Nikolaev un uomo talmente importante da finire coinvolto in un’inchiesta a Washington, dove il suo nome si ritrova affiancato a quello di Maria Butina, la spia russa arrestata la scorsa settimana con l’accusa di tentare di creare dei canali di comunicazione secondari tra il Cremlino e Donald Trump. Secondo quanto riporta il Washington Post, Nikolaev avrebbe finanziato l’associazione di Maria Butina, Pravo na oruzhie, Diritto alle armi, una società nata sulla scia della Nra, la lobby americana che difende i possessori di armi. Sarebbe stata la stessa Butina a dire alla commissione Intelligence del Senato che Nikolaev le aveva fornito dei finanziamenti. L’oligarca ha confermato di essere venuto in contatto con la ragazza tra il 2012 e il 2014, mentre lei stava lanciando la sua campagna in difesa dei possessori di armi, ma ha smentito di aver elargito finanziamenti. In Russia, l’oligarca ha investito in ferrovie e porti e ha interessi anche negli Stati Uniti. Negli Stati Uniti, oltre ad aver investito in Gabr, una start-up della Silicon Valley, fa parte del board della American Ethane, azienda di Houston che lavora il gas etano, sponsorizzata da Trump durante un viaggio in Cina. Il presidente americano aveva sostenuto la firma di un accordo tra la società e Pechino per l’esportazione dell’etano liquido. Nel report del dipartimento di Giustizia in cui viene riportata la vicenda di Maria Butina, si parla di un uomo russo molto influente che la sosteneva. Inizialmente le indagini si erano concentrate su Alexandr Torshin, già finito sotto sanzioni per le interferenze russe negli Stati Uniti, ma a Washington si fa sempre di più il nome di Konstantin Nikolaev. Eppure anche lui, come la Butina, a Trump non è mai arrivato. Suo figlio invece, che nel 2016 aveva lavorato come volontario per la campagna elettorale del candidato repubblicano, oltre ad aver avuto contatti con il presidente, ha anche incontrato Maria Butina all’International Hotel di Washington, durante la presentazione del neo eletto a gennaio del 2017. Il Washington Post scrive che il finanziatore delle attività di Butina è “un uomo d’affari russo molto conosciuto”, spesso negli Stati Uniti per lavoro e presente nella classifica di Forbes con un patrimonio di 1,2 miliardi di dollari. Dettagli, coincidenze, casualità che portano al nome di Nikolaev.

 

La Russia è lo sfondo, dove Nikolaev è riuscito a diventare ricco sfruttando un settore molto caro al Cremlino. Gli Stati Uniti sono un’ambizione, che ogni miliardario russo cerca di conquistare anche con gli auspici del Cremlino stesso. E poi c’è l’Italia. Una terra di mezzo, una virgola tra l’est e l’ovest, meta di molti miliardari russi. Non fa eccezione Konstantin Nikolaev, che ha deciso di comprare una tenuta a Bolgheri, concludendo, l’anno scorso, un affare di circa quattro milioni di euro. Tanti soldi, Bolgheri è tra le zone più care e lui ha voluto accaparrarsi La Madonnina, territorio di supertuscan, quei vini rossi, preparati volutamente in modo alterato, ieri vituperati e oggi pregiatissimi. L’Italia è il vizio, è l’evasione e Nikolaev è un grande appassionato di vitigni, così tra lo scorrere dei suoi affari in Russia e le mire negli Stati Uniti, ha deciso di concedersi un pezzo di Italia, nazione che da sempre adora flirtare con Mosca. Il legame c’è e non è nemmeno troppo sottile, in questa storia raccontata su tre nazioni e due continenti. Ovunque c’è un legame, anche politico. Nikolaev per la sua produzione ha scelto uno dei migliori enologi che l’Italia potesse offrirgli: Riccardo Cotarella. Responsabile dei vini dell’Expo, enologo della famiglia Titov, politico e imprenditore russo, e de La Madeleine di Massimo D’Alema.

 


 

Richiesta di rettifica

In un passaggio del suddetto articolo, Bolgheri viene definito come “territorio di supertuscan, quei vini rossi, preparati volutamente in modo alterato” infondatamente riferita ai vini supertuscan prodotti nella zona di Bolgheri. La constatazione – sprovvista di qualsivoglia fondatezza – contrasta con la politica produttiva delle aziende associate al consorzio, con lo statuto dell’ente oltreché con quanto disposto dal disciplinare approvato. L’uso del termine “alterato”, inducendo in errore il lettore circa la genuinità del prodotto, costituisce giudizio lesivo dell’immagine del territorio di Bolgheri e delle aziende vitivinicole che vi operano”.

Pare necessario precisare che, nel breve passaggio dell’articolo di cui si narra nella rettifica, si faceva riferimento alla notoria circostanza in virtù della quale la preparazione dei citati vini si discosta dalle tradizionali regole toscane, e non certamente avanzare qualsivoglia negativa considerazione, anche attesa la specificazione immediatamente seguente nel detto passaggio, che definisce i medesimi vini “pregiatissimi”.

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