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Nessuna “quarta via” in Portogallo

Eugenio Cau

Il governo socialista portoghese non ha ribaltato l’austerity, anzi: con le sue politiche sociali rischia di fare danni

Roma. La leggenda del Portogallo funziona più o meno così: un paese del Mediterraneo, prostrato dalla crisi finanziaria e umiliato dalle misure di austerity imposte dall’Europa e dal Fondo monetario internazionale, elegge alla fine del 2015 un governo socialista alleato con l’estrema sinistra comunista. Il nuovo governo mette alla porta i becchini della Troika e comincia una politica di ribaltamento dell’austerity e del rigore fiscale che porta crescita, benessere e ottimismo. Il premier, António Costa, è additato dalle sinistre di tutta Europa come modello, autore di una “quarta via” solidale e alternativa alla terza via del blairismo, il mito del Portogallo passa di bocca in bocca, e di recente, a fine luglio, arriva anche sul New York Times, con un articolo molto in evidenza e titolato in maniera eloquente: “Il Portogallo ha osato mettere da parte l’austerity. Sta vivendo una grande rinascita”.

   

E’ vero, il Portogallo è un modello. E’ cresciuto del 2,7 per cento l’anno scorso, e gli ultimi dati sull’impiego, usciti ieri, dicono che il livello di disoccupazione è ai minimi dal 2011, al 6,7 per cento. Ma il Portogallo è un modello per ragioni diametralmente opposte rispetto a quelle sbandierate dagli ammiratori della “quarta via”. Il governo ha mantenuto la politica di strettissimo rigore fiscale impostata dall’esecutivo precedente di centrodestra, e si prepara a raggiungere il surplus di bilancio con un anno di anticipo rispetto all’obiettivo del 2020. Al contrario, il programma dell’eliminazione dell’austerity appare molto indietro, le promesse di sussidi e aumenti fatte da Costa sono state in gran parte disattese e, soprattutto, rischiano di danneggiare le prospettive di ripresa.

  

Il Financial Times ha pubblicato ieri un reportage a firma del corrispondente Peter Wise in cui è citata una frase emblematica del premier Costa, che qualche settimana fa, davanti alle proteste dei sindacati degli insegnanti che manifestavano perché i loro stipendi non vengono aumentati da nove anni, ha detto: “E’ molto semplice. Non abbiamo i soldi”.

   

Da mesi in Portogallo molte categorie di lavoratori sono in stato di agitazione, il governo socialista ha condotto negoziati tesissimi con i suoi alleati dell’estrema sinistra per l’approvazione della legge di Bilancio, e diventa sempre più evidente che, se il governo Costa è stato bravissimo a seguire le ricette di rigore del governo precedente, è sempre più difficile, e per molti versi impossibile, coniugare questo rigore con le promesse di eliminazione completa dell’austerity. Questo contrasto si è visto molto bene lo scorso aprile, quando il ministro delle Finanze Mario Centeno ha annunciato un ulteriore restringimento degli obiettivi di riduzione del deficit per quest’anno, dall’1,1 per cento allo 0,7 per cento. I partiti comunisti alleati del governo hanno protestato violentemente, dicendo che Centeno stava cedendo all’austerity, ma il ministro ha risposto che il Portogallo non poteva più vivere al di sopra delle sue possibilità, e che “la via della sostenibilità finanziaria è la strada sicura per il nostro futuro”.

  

Non rovinare il lavoro fatto

A partire dal 2016 Costa ha aumentato il salario minimo e le pensioni, ridotto le tasse sul reddito (ma aumentato altre imposte indirette) e ridotto la settimana lavorativa da 40 a 35 ore. Questa retromarcia parziale sull’austerity avrebbe dovuto, nelle intenzioni del governo, aumentare la domanda interna e favorire la crescita. L’economia in effetti è cresciuta, ma non grazie alle misure di Costa, dicono gli economisti, compresi alcuni esperti sentiti dal New York Times nell’articolo molto elogiativo di luglio (“La spesa per stimolare l’economia è stata estremamente ridotta”). Piuttosto, hanno contribuito all’aumento del pil la rinnovata energia dell’impresa privata, che ha portato a un boom delle esportazioni, il Quantitative easing della Banca centrale europea, che ha reso il credito più facilmente ottenibile, e soprattutto la performance eccezionale del settore turistico.

   

Una situazione simile a quella dell’altro caso di successo della penisola iberica, la Spagna, che ha ottenuto una ripresa economica spinta soprattutto dalle esportazioni, con tassi di crescita del pil superiori al tre per cento. Ma mentre il governo spagnolo guidato dal conservatore Mariano Rajoy ha facilitato la ripresa con politiche espansive di sostegno all’impresa, le politiche sussidiarie di Costa hanno generato più ammirazione mediatica che effetti concreti sull’economia. (Nota: due mesi fa Rajoy è stato sostituito alla guida della Spagna dal socialista Pedro Sánchez, che subito ha indicato Costa come un modello da seguire).

  

Certo, Costa ha contribuito a ridare speranza a una popolazione esasperata dall’austerity, e questo ha senz’altro aumentato la fiducia tra cittadini e imprenditori. Ma il Financial Times nota che il governo portoghese, con la sua decisione di tagliare gli investimenti pubblici per favorire la spesa sociale, ha finito per diventare un peso per l’economia. Le infrastrutture e i servizi pubblici, come scuole, ospedali e ferrovie, sono in pessime condizioni ma Costa ha usato altrove i soldi che servirebbero a rimetterli in sesto, e la ripresa economica comincia a mandare segnali di rallentamento. Insomma, c’è una brutta notizia per gli speranzosi che vedono nel Portogallo un modello anti austerità: la “quarta via” non esiste, e il governo Costa deve prestare attenzione a non rovinare il lavoro fatto finora.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.