La tregua di Gaza è finita prima di iniziare. Chi negozia tra missili e raid
Da quando a marzo sono iniziate proteste e scontri settimanali tra palestinesi ed esercito israeliano lungo il confine, la situazione rischia ciclicamente di precipitare
Milano. E’ durata poche ore la tregua tra Hamas e Israele. L’esercito israeliano ha annunciato in serata di aver colpito con l’artiglieria una postazione del movimento islamista che controlla Gaza dopo che dal confine – dove da mesi il venerdì continuano le proteste – è stato lanciato materiale esplosivo contro i soldati oltre la barriera di separazione. Negli scontri, due palestinesi, tra cui un medico, sono stati uccisi da colpi di arma da fuoco, oltre 240 persone sono rimaste ferite, secondo fonti mediche locali. Hamas ha chiesto ai cittadini di tornare a manifestare venerdì mattina, dopo che fonti egiziane avevano annunciato il raggiungimento di una tregua, non confermata ufficialmente dalle parti. Nella notte tra giovedì e venerdì era cessato il lancio di missili da Gaza, e i jet israeliani erano rimasti a terra, in seguito a due giorni di violenze.
Da quando a marzo sono iniziate proteste e scontri settimanali tra palestinesi ed esercito israeliano lungo il confine, la situazione rischia ciclicamente di precipitare. Soltanto quando un intervento di terra israeliano sembra imminente, con trattative in corso mentre volano missili e cadono bombe, torna la calma, che dura pochi giorni o, come accaduto ieri, poche ore. Si tratta di “deterrenza reciproca”, spiega al Foglio Efraim Halevy, che è stato direttore del Mossad: “Né Hamas né Israele vogliono un conflitto totale, ma neppure mostrarsi deboli davanti all’opinione pubblica interna”, e quindi portano avanti lo scontro fino all’ultimo, quando lasciano spazio alla diplomazia. E la diplomazia ha in queste ore un nome. Nickolay Mladenov, 47 anni, ex ministro degli Esteri bulgaro, è Coordinatore speciale dell’Onu per il medio oriente. Sarebbe a lui, rivela il quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth, che telefonano i leader di Hamas per inviare messaggi a Israele. E il governo israeliano, solitamente tiepido con i funzionari dell’Onu, organizzazione che per molti politici locali sarebbe troppo favorevole ai palestinesi, apprezza il suo operato.
Israele e Hamas hanno combattuto tre guerre dal 2008, e i mediatori finora sono stati altri, come Qatar e Turchia. E’ anche in assenza di questi poteri regionali, investiti nel frattempo da crisi politiche o economiche, che si rafforza l’operato di un funzionario con abilità come Mladenov, spiega una fonte diplomatica al Foglio. L’Egitto del rais Abdel Fattah al Sisi è al momento l’unico paese straniero con diretti interessi nella calma a Gaza: in guerra contro gruppi jihadisti nel vicino Sinai non può permettersi instabilità nella Striscia. E proprio attraverso l’operato del capo dell’intelligence del Cairo, Abbas Kamel, e dell’inviato dell’Onu, starebbero emergendo i contorni di un’intesa su Gaza da sottoporre alle parti. I giornali arabi parlano già di “accordo dei cinque anni”: durata di un ipotetico cessate il fuoco. Gli scontri di ieri però raccontano una realtà diversa. In Israele, scrive Anshel Pfeffer sul quotidiano liberal Haaretz, Benjamin Netanyahu è già – non ufficialmente – in campagna elettorale, e per lui Gaza rappresenta una debolezza. Ogni soluzione possibile porta con sé un rischio politico. Un’operazione di terra causerebbe vittime civili palestinesi e la morte di soldati israeliani. Un possibile accordo di tregua esporrebbe Netanyahu alle critiche degli alleati-avversari della destra più radicale, che preferirebbero un atteggiamento muscolare. Lo stesso potrebbe accadere al leader di Hamas, Yahya Sinwar, che però, a differenza di suoi predecessori, spiega al Foglio Tareq Baconi, autore di Hamas Contained: The Rise and Pacification of Palestinian Resistance, è un leader con una forte credibilità all’interno sia dell’ala politica sia militare del gruppo e avrebbe il sostegno necessario per far passare un’intesa e le concessioni a essa legate.
L'editoriale dell'elefantino