Storia del ragazzino che valicava i confini leggendo “Il giovane Holden”
Dall’Abkhazia a un carcere di Sochi. Quando la letteratura vince sui confini
Forse è quello che avrebbe voluto fare anche il giovane Holden. Errare, ritrovarsi con i sensi inabissati nella natura, non pensare al tempo, al suo rumore, alla città che è regno di tutti i doveri. Forse se Jerome David Salinger avesse voluto accontentare il suo protagonista, lo avrebbe messo proprio lì, al confine tra Russia e Abkhazia. Invece no, lo lasciò smarrito come un bambino sotto la pioggia di Central Park a guardare la sorellina che girava su una giostra piena di nostalgia. Sarà stata l’irrequietezza holdeniana, la giovinezza che ovunque, sia a New York sia in Abkhazia, ha lo stesso sapore e non conosce noia e divieti, saranno state leggerezza e incuria, fatto sta che un quattordicenne abkhazo si è ritrovato in Russia, senza volerlo, alla ricerca di un luogo dell’anima in cui condividere le avventure con il suo eroe letterario. La maestosa esistenza verde e selvaggia del confine che divide la nazione russa dalla Repubblica di Abkhazia ha attratto il giovane, perso nel suo libro.
Il quattordicenne rimane senza nome, era alla ricerca di un posto per leggere, “lontano dalla società”, avrebbe detto Holden, ed è stato fermato dalle guardie di frontiera russe mentre attraversava il fiume Psou, il confine naturale tra la Russia e la Repubblica abkhaza. Era bagnato, proprio come Holden nell’ultima scena del libro, e mentre guadava il Psou, reggeva in alto il romanzo per paura che l’acqua lo rovinasse. E’ un topos romantico che la letteratura riesca a smuovere le azioni giovanili, il ragazzo per suo amore e dedizione ha infranto la legge di ben due nazioni, anzi di uno stato – la Russia – e di un territorio a status conteso – la sua Abkhazia. In quel fiume il ragazzo cercava Holden. Fermato, non ha opposto resistenza e ha lasciato che lo portassero nella centrale di polizia vicino Sochi, sul Mar Nero. E’ stato arrestato dall’Fsb, i servizi segreti russi, che non capivano perché uno studente avesse deciso di oltrepassare la frontiera: lo sanno tutti, le frontiere esistono perché devono dividere, e un quattordicenne che valica un fiume per arrivare in territorio russo dovrà pur nascondere qualcosa, hanno pensato le guardie. Il ragazzo cercava il silenzio.
“Il giovane Holden” è un libro che i russi hanno sempre amato. Arrivò per la prima volta durante il disgelo di Khruschev, il partito voleva che alcuni romanzi, quello di Salinger incluso, mostrassero la fine del capitalismo americano, i tic di una società malata di consumo. Ma i russi in quel ragazzo famelico di esperienze, malato di vitalità, videro il ritratto attraente di un giovane disadattato che si ribella alla pietà di una società conformista. Holden Caulfield, i suoi pugni nello stomaco, le sue lacrime e tutta la sua rabbia elettrizzavano la società russa. Arrivato in Unione sovietica il protagonista di Salinger era un eroe. La prima traduzione a cura della famosa Rita Rait Kovaleva, si diceva che le sue interpretazioni di Vonnegut fossero meglio dell’originale, avevano eliminato tutti i riferimenti che i russi non avrebbero capito: scuole private, jazz club, hotel, i realia di un abisso che la realtà sovietica non poteva comprendere. In russo Holden è Kholden, si pronuncia con un acca dura e aspirata, segno della tendenza ad addomesticare ogni aspetto delle lingue straniere.
Il giovane abkhazo, avventuroso quanto l’eroe letterario ma più forte di spirito, nelle mani delle autorità russe enormi nella loro uniforme, determinate nella loro fedeltà alla patria, chiuso nella stanza rimasta in stile sovietico, non per nostalgia ma per mancanza di risorse, ha mostrato il libro. “Cercavo un posto in cui leggere”, ha detto il trasgressore. Saranno state reminiscenze letterarie o l’immagine di un adolescente che oltrepassa un fiume cercando di salvare un romanzo, le guardie lo hanno riaccompagnato in Abkhazia. Tante sono le storie di sconfinamenti e molte non finiscono bene. Una volta Giovanni Paolo II, che all’epoca era ancora solo Karol Wojtyla, sciava e tra la neve e le montagne dai profili nodosi della sua Polonia, i Tatra, sui suoi sci si ritrovò oltre il confine, dalla parte slovacca. Le guardie lo fermarono, anche allora i confini servivano a dividere, chi li oltrepassava nascondeva qualcosa. Wojtyla spiegò di essere un vescovo polacco e la religione, nel suo caso, non la letteratura, lo salvò.
L’avventura del giovane abkhazo, bagnato in mezzo al fiume, determinato dalla voglia di solitudine e silenzio, è la compiutezza dell’opera di Salinger. La letteratura ha vinto sui confini e lo studente ha regalato a Holden l’evasione e l’avventura in un mondo verde e straniero che il ragazzo, dalla New York grigia, fumosa e assordante, non ha mai raggiunto.