Tra inflazione ed esercito infedele, Maduro perde presa sul Venezuela
Dopo lo strano attentato di inizio agosto, i servizi di sicurezza sono in tilt. Il problema dei rifugiati nei paesi vicini
L’iperinflazione è la conferma quotidiana in carne propria del triste fatto che al peggio non c’è fine. Farsi un giro a Caracas per credere. Cinque zeri tolti d’imperio al tasso di cambio tra moneta nazionale e dollaro, salario minimo moltiplicato di 34 volte per arrivare all’equivalente di 30 dollari al mese che tra cinque minuti saranno già di meno.
Non si può nemmeno più scappare: Ecuador, Brasile, Costa Rica e Colombia sono stanchi di veder arrivare migliaia di venezuelani al giorno e stanno ciascuno a suo modo cercando di respingerli. Ieri il governo brasiliano ha mandato truppe dell’esercito dopo che un campo di rifugiati venezuelani nella città frontaliera di Pacaraima è stato preso d’assalto dai locali.
Per di più è dal 4 agosto che il ministro dell’Interno venezuelano Néstor Reverol e i suoi vari portavoce si affacciano in tv uno dietro l’altro per “spiegare al popolo eroico la dinamica del tentato magnicidio del presidente Nicolás”. Ma lo fanno senza mai mettersi d’accordo prima sui dettagli: chi dice che i droni esplosi vicino al palco di Maduro erano due, chi tre, un militare in prima fila alla parata assicura che il terzo drone sia stato abbattuto da un franco tiratore, un altro giura che non c’è stato nessuno sparo. Così l’operazione di propaganda seguita alla strana esplosione finisce per essere più maldestra del fallito attentato o tentato autogolpe che fosse.
Sono aumentati gli arresti di oppositori o presunti tali. La polizia politica irrompe a casa delle persone segnalate come sospette e si porta via loro e chi trova con loro. Il regime non si fa problemi nemmeno a incarcerare i parlamentari dell'opposizione, benché siano protetti da immunità
Caracas si sveglia ogni giorno tappezzata di manifestini firmati da vari gruppi di base del chavismo con fantasiose istruzioni per mantenere alta la “viglilanza popolare”. Per esempio questo, firmato dal Collettivo Resistinecia y Ribelión, uno dei tanti gruppuscoli cresciuti dal regime. Sotto il titolo: “Allarme!” c’è scritto: “Dopo il fallimento del tentativo di assassinare il nostro Presidente Operaio Nicolás Maduro e gli Alti Comandi Militari, l’Operazione in corso prevede l’assassinio selettivo dei leader sociali di tutti i livelli e specialmente l’assassinio dei leader dei Collettivi Rivoluzionari. L’intenzione è far implodere le Basi Popolari”.
Seguono istruzioni per le misure di sicurezza da prendere: “Si raccomanda di diffidare delle persone sconosciute, così come di prestare attenzione ai camioncini o ai veicoli in generale che si avvicinino alle zone popolari o alle sedi dei Collettivi. Questi terroristi non stanno giocando, la mancanza di professionalità non li rende meno pericolosi. Ricordatevi che tra loro ci sono ex militari molto risentiti, pieni di tanto odio contro il Chavismo”.
Sono aumentati gli arresti di oppositori o presunti tali. La polizia politica irrompe a casa delle persone segnalate come sospette e si porta via loro e chi trova con loro. Dopo l’annuncio dell’arresto di sei persone definite “pericolosi terroristi” e la solita accusa alla vicina Colombia di essere la culla dei mandanti del tentato assassinio di Maduro, sono stati arrestati anche il deputato Juan Requeses, del partito oppositore Primero Justicia, e sua sorella Rafaela Requesens, dirigente del movimento studentesco poi rilasciata. E’ stato diffuso un video in cui Requeses si autoaccusa dell’organizzazione dell’attentato additando come responsabile Julio Borges, suo compagno di partito esiliato in Colombia. Requens è il terzo parlamentare d’opposizione, teoricamente protetto dall’immunità prevista dalla Costituzione, attualmente in carcere in Venezuela.
I servizi di sicurezza sono in tilt. L’intelligence cubana, l’unico apparato che funziona ancora a Caracas, ha avvisato da tempo delle grandi crepe aperte dentro la lealtà delle forze armate. Fedele a Maduro resta al momento solo la Guardia presidenziale, da cui vengono gli addetti alla sua difesa personale. Nervosissimi sembrano in questi giorni anche i generali legati a Diosdado Cabello, il numero due del regime che sempre più potere ha accumulato dopo la morte dell’ex presidente Hugo Chávez. Ai generali di Cabello sono state sostanzialmente regalate le immense ricchezze dell’Orinoco, il sottosuolo ricchissimo di shale gas e petrolio. Sempre più diserzioni e ritiri volontari si susseguono invece tra ufficiali e nelle truppe. Molti soldati abbandonano per ragioni di pura miseria: non ci sono più i soldi per i rifornimenti di cibo, non hanno da mangiare e per questo se ne vanno.
Alcune ore dopo l’esplosione dei droni che non sono riusciti nemmeno ad arrivare al palco presidenziale (la versione governativa è che i disturbatori di segnali della protezione presidenziale avrebbero fatto fallire l’attacco) è stata data notizia della rivendicazione da parte di un misterioso “Movimento nazionale di soldati in camicia”. In una dichiarazione recapitata alla giornalista venezuelana vicina all’opposizione Patricia Poleo, che vive negli Stati Uniti, si legge: “E’ contro l’onore militare tenere al governo coloro che non solo hanno dimenticato la Costituzione ma che hanno trasformato le cariche pubbliche in un osceno modo per arricchirsi”.
Il comunicato, letto da Patricia Poleo sul suo canale YouTube, esorta alla ribellione: “Se lo scopo di un governo è raggiungere la maggior felicità possibile, non possiamo tollerare che la popolazione soffra la fame, che i malati non abbiano medicine, che la moneta non abbia valore, e che il sistema dell’istruzione non istruisca, ma solo indottrini al comunismo”. La rivendicazione si conclude con un appello: “Popolo del Venezuela, per concludere con successo questa lotta di emancipazione dobbiamo scendere in piazza senza arretrare”. Si tratterebbe di un gruppo “di patrioti militari e civili, leali al popolo venezuelano che cerca di salvare la democrazia in una nazione sotto dittatura”.
Il regime ha una paura folle di restare sprovvisto di quadri militari medi e bassi disposti a proteggerlo. Non ci sono più abbastanza soldi per comprare la fedeltà delle forze armate, sempre più probabile che qualche generale dotato di truppe volti le spalle. A Maduro questo rischio è stato spiegato ed è per tale ragione che in strada a reprimere le manifestazioni contro di lui manda sempre la polizia militare, mai l’esercito di cui non si fida.