La sfida dei partiti paneuropei alle prossime elezioni Ue. Volt e gli altri
Il presidente del movimento ci racconta cosa vuol dire credere nell’Unione in tempi di populismo. Candidature anche in Italia
Roma. Europeista lo è e lo è in modo entusiasta perché in Europa i suoi membri si sono formati e ci sono cresciuti ma ritengono che non debba mancare l’attenzione nei confronti del territorio. Per questo Volt – il nome è ispirato all’unità di misura del potenziale elettrico – è un movimento che ha iscritti in trenta paesi, i ventotto dell’Unione europea con l’aggiunta di Svizzera e Albania, ed è articolato in otto partiti nazionali. “Volt Italia è nato il 15 luglio”, dice al Foglio Andrea Venzon, presidente del movimento e tra i suoi fondatori. L’età media è di 35 anni, hanno obiettivi precisi e un programma di duecento pagine. “Il nostro primo obiettivo è quello europeo, ma dobbiamo ripartire dal livello locale e in Italia vogliamo partecipare alle regionali in Piemonte del prossimo anno. Lo faremo anche in Belgio per Fiandre, Vallonia e la regione di Bruxelles”. Volt è nato come reazione alla Brexit e ai populismi e che stanno scuotendo l’Unione. “Abbiamo una vocazione europea e vorremmo diventare un partito transnazionale, paneuropeo”, spiega Venzon. Volt non è l’unico movimento a essere nato come una forza paneuropea, ci sono anche Diem 25, fondato dall’ex ministro dell’Economia greco, Yanis Varoufakiīs, e The Movement, nato invece all’ombra dell’ex consigliere di Trump, Steve Bannon. Il primo troppo a sinistra, il secondo troppo a destra, Volt va oltre e vuole superare la divisione tra i due schieramenti. “Siamo diversi da Diem 25 per tre motivi. Il primo è lo spazio politico che vogliamo occupare, non siamo di estrema sinistra. Il secondo è che non siamo un partito persona, Diem 25 è stato fondato da Varoufakis e la struttura è verticale. Noi non vogliamo dei vate. La terza differenza è che loro sono all’interno di una coalizione per le europee e noi vorremmo presentarci da soli”.
Quello che li distingue da The Movement è fin troppo palese, il movimento di Bannon è una forza euroscettica. Volt sogna di portare a Strasburgo almeno 25 eurodeputati, una scommessa ardita per un gruppo nato un anno e mezzo fa. Non è un errore pensare che nel suo superamento degli schieramenti politici e nei suoi sogni europeisti, il gruppo ricordi En Marche!, il partito di Emmanuel Macron che lo scorso settembre, durante il discorso tenuto alla Sorbona, aveva proposto di destinare parte dei seggi dell’Europarlamento a liste paneuropee, transnazionali. “En Marche! per noi ha i limiti del partito persona, è Macron. Volt invece è un movimento, si muove come un motore, un ingranaggio, certo è impossibile pensare che non ci siano persone che contano più delle altre, ma nessuno domina”. Uso dei social network, meetup, statuti, sono parole che in Italia ci siamo abituati a sentire da uno dei partiti che con questi mezzi è arrivato al governo.
Ma Venzon assicura che Volt non ha nulla a che vedere con il Movimento 5 stelle: “Crediamo nella competenza, ognuno di noi fa quello per cui ha studiato. E’ vero, abbiamo delle regole interne che però non sono assoggettate al controllo di una società privata. Gli slogan servono, fanno parte del gioco politico, ma non vogliamo limitarci a quello” e forse se proprio bisogna trovare a Volt un corrispettivo italiano, i suoi membri si sentono vicini a +Europa. Il rischio a cui Volt va incontro è quello di sembrare un partito per giovani, per millennial, per la generazione Erasmus, e per il momento è così, ma il movimento ha intenzione di crescere. L’idea di creare una forza paneuropea che crede fortemente nell’Unione sembra in contrasto con i tempi, gli altri due movimenti transnazionali, Diem 25 e The Movement, non fanno del rispetto dei valori europei il loro primo obiettivo, eppure “nei paesi in cui al governo ci sono dei governi euroscettici c’è molto interesse nei confronti di Volt”, conclude Venzon. In ottobre ci sarà un’assemblea ad Amsterdam per lanciare la candidatura alle europee. Per ora Volt è un laboratorio e ci dice che no, l’europeismo ancora non è morto.