I populisti hanno istituzionalizzato l'antisemitismo in Polonia, dice Jan Gross
“Il partito di Kaczynski ha deciso che la nazione dovesse abbandonare la democrazia liberale” e sta colpendo tutte le conquiste che la giovane democrazia polacca aveva ottenuto. Intervista allo storico di Princeton
Roma. Intellettuale e professore presso l’università che un tempo venne diretta anche da Woodrow Wilson, Jan Gross, oltre a insegnare a Princeton, ogni tanto scrive anche per il Financial Times. E’ uno degli storici più autorevoli in America e anche della sua nazione di origine, la Polonia, che lasciò nel 1969, come fecero tanti altri ebrei, per trasferirsi insieme alla sua famiglia negli Stati Uniti. L’antisemitismo, che in realtà non era mai passato, tornava nelle istituzioni e il governo polacco diede agli ebrei l’opportunità di lasciare il paese. Mentre spiega al Foglio come la Polonia del miracolo economico e dell’orgoglio europeo si sia trasformata nella patria del populismo di stato è su un treno, in America: “Il PiS governa ormai dal 2015, ma metà della Polonia guarda ancora con stupore a quello che sta accadendo. Il partito di Jaroslaw Kaczynski, Diritto e giustizia, ha deciso che la nazione dovesse abbandonare la democrazia liberale come forma di governo” e da due anni sta colpendo tutte le conquiste che la giovane democrazia polacca aveva ottenuto. Prima la censura sui testi ammessi come lettura scolastica, poi la riforma della magistratura che è costata al paese l’attivazione dell’articolo 7 da parte dell’Unione europea e infine la legge sull’Olocausto che punisce chi insinua che i polacchi siano stati complici dello sterminio del popolo ebraico.
E’ di giovedì la polemica tra il governo di Varsavia e Fox news. Un giornalista della rete americana parlava di Jakiw Palij, l’ex guardia nazista che gli Stati Uniti hanno rimandato in Germania, e ha detto che l’uomo aveva lavorato in un “campo di concentramento polacco”. L’ambasciata polacca di Washington è insorta minacciando conseguenze legali.
Tutti questi cambiamenti sono avvenuti nel giro di quasi tre anni. “La Polonia veniva dai 26 anni migliori della sua storia, sotto ogni punto di vista – dice il professore – poi il PiS ha iniziato a dire che tutto andava male, che tutto era stato fatto nel modo sbagliato, che l’Unione europea aveva solo combinato danni e hanno vinto delle elezioni in cui in pochi hanno votato”. L’affluenza era stata leggermente al di sopra del 50 per cento, ma andarono alle urne soprattutto coloro che sostenevano il partito nazionalista, il 38 per cento dei consensi è andato a Diritto e giustizia che oggi ha una maggioranza schiacciante in Parlamento. “Il PiS può fare quello che vuole, l’opposizione c’è ma non è in Parlamento”, dice Gross. E’ molto attiva sui giornali, in televisione, ma non ha la possibilità di opporsi alle proposte del movimento nazionalista dentro alle istituzioni. “La società è divisa – commenta lo storico – Ma questa divisione non impedisce al partito di andare avanti nel cammino che ha intrapreso verso l’uscita dalla democrazia liberale”.
Le chiavi che hanno permesso al partito di vincere sono state due: promesse e paura. Il sussidio mensile alle famiglie di 500 zloty, 120 euro, per ciascun figlio, l’abolizione della riforma delle pensioni che aveva alzato l’età pensionabile fino a 67 anni e l’aumento del minimo pensionistico che da 800 zloty è passato a 1000. Una delle ultime mosse è stata quella del salario minimo, il governo ha deciso di farlo arrivare fino a 2100 zloty al mese, 520 euro, quando fino a qualche anno fa era fermo ai 430 euro. I fondi di Bruxelles hanno portato strade, grattacieli e stadi, il PiS ha capito che ai polacchi questo non interessava. Secondo punto: la paura di tutto ciò che non è polacco. “La retorica della paura è stata vincente”, commenta Gross. Durante la campagna elettorale, Jaroslaw Kaczynski non aveva mai nascosto la vocazione razzista del partito da lui fondato. “Fin dagli esordi il PiS è stato di estrema destra e ha riportato nel dibattito pubblico argomenti che per un po’ erano scomparsi, uno fra tutti l’antisemitismo, un sentimento che non aveva mai abbandonato il sostrato culturale polacco, ma di cui Diritto e giustizia si è fatto portavoce”, spiega il professore di Princeton. L’antisemitismo, così come l’odio nei confronti degli immigrati, non sono mai stati estranei alla società polacca, ma il fatto che siano diventati temi da spendere in campagna elettorale e il loro approdo all’interno delle due Camere del Parlamento ha conferito loro legittimità.
“La tradizione nazionale è inequivocabilmente antisemita”, dice al Foglio Gross che sull’argomento ha scritto un libro importantissimo. Nel 2001 ha pubblicato “I carnefici della porta accanto”, opera in cui documentava la vera storia della comunità ebraica di Jedwabne, che nel 1941 venne sterminata. Secondo la targa che ancora oggi si trova nel villaggio, i 1.600 ebrei che abitavano nella cittadina furono uccisi dalla Gestapo, ma dalle ricerche di Gross uscì una verità differente. Fu il sindaco polacco della città a far radunare nella piazza principale tutti gli ebrei di Jedwabne, che vennero circondati da uomini armati e massacrati. Lo storico venne insultato dal PiS per aver documentato questi eventi. “Cospirazione, complotto, queste sono altre parole chiave usate spesso dal PiS per alimentare la retorica antisemita”, ma anche antieuropea. E se non bastano le tesi complottiste, il governo populista si dedica anche a una costante riscrittura della storia. “Non succede soltanto con il popolo ebraico. Ad esempio Lech Walesa nella revisione populista è diventato un agente della polizia segreta e vogliono far credere che il personaggio più importante del Solidarnosc sia stato Lech Kaczynski, che, secondo quanto riferisce il partito, non sarebbe morto in un incidente aereo, bensì in un attentato perpetrato da non si sa chi, dai russi o da Donald Tusk”. Non esistono sfumature nella Polonia di Diritto e giustizia, la loro retorica procede per antitesi e, come osserva Jan Gross, “l’interpretazione della storia è in bianco e nero e la sua riscrittura punta a raccontare che i polacchi sono sempre stati il bianco”.
Uno dei relatori della legge sulla memoria dell’Olocausto è Patryk Jaki. Il viceministro della Giustizia è espressione di un partito vecchio che ha deciso di puntare sui giovani, ragazzi senza competenze ma che auspicano un ritorno della Polonia alla verginità preglobalista. Come lui Pawel Szefernaker, segretario della cancelleria, che secondo alcune indiscrezione avrebbe messo su la sua piccola fabbrica dei troll. “Jaki non viene dagli ambienti della politica, ma dagli stadi, dalle tifoserie e in Parlamento ha introdotto il linguaggio dei cori e degli slogan”, spiega Jan Gross. Questo è uno dei cambiamenti che Diritto e giustizia ha voluto introdurre, ha ingrossato le sue file con outsider della politica che dessero la sensazione di novità e di rottura. Il risultato, altamente sperato, è stato di riportare indietro la Polonia, prima dei diritti, prima dell’Europa, prima del liberalismo. Ma come si ferma tutto questo? “Con l’istruzione e con lo studio della storia”, risponde Jan Gross mentre continua il suo viaggio su un treno americano.
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