Mosca e Budapest odiano le università che si definiscono “european”
L’aggettivo “europeo” disturba le forze reazionarie e nazionaliste che abitano le istituzioni russe e ungheresi
Roma. Troppo a occidente per essere russa, per tramandare, insegnare e approvare la russità, così come la intende il governo. Eppure, la European University di San Pietroburgo è riconosciuta a livello internazionale come uno dei migliori atenei del mondo, è anche un istituto di ricerca molto apprezzato, ma manca qualcosa, o forse c’è qualcosa di troppo che al Cremlino non piace. Secondo molti professori dell’Università che per il secondo anno di fila si sono ritrovati senza studenti, il troppo potrebbe essere nel nome, in quell’aggettivo “europeo”. San Pietroburgo è la città nata per collegare la Russia all’Europa, almeno idealmente, e fondare lì, nel 1994, un’università europea che accogliesse studenti russi e stranieri rappresentava il naturale coronamento del sogno zarista. Ma qualcosa si è interrotto in quel processo e alla Russia l’europeizzazione non piace più, o perlomeno non piace più come un tempo. Così due anni fa il Cremlino ha revocato all’università pietroburghese la licenza e gli studenti hanno dovuto trovare altri atenei in cui iscriversi. Senza indugiare troppo a lungo sulle motivazioni della revoca, la European University al centro della città si è trasformata in un edificio spettrale: aule vuote, silenzio e i professori senza uno scopo che si riunivano nella speranza di trovare qualche sostenitore all’interno del governo.
Qualcosa è cambiato proprio negli ultimi giorni, è arrivato un segnale. Alexei Kudrin, ex ministro delle Finanze nel 2011, uno dei volti liberali del putinismo, è tornato a ricoprire una carica pubblica. Lui sperava di riprendersi i vertici del ministero, invece è stato nominato consigliere economico. Una delle sue funzioni consiste nel riesaminare, mandando ispettori da lui nominati, le licenze alle università e ha stabilito che la European University potrà riaprire, forse, in ottobre, ma mancano le iscrizioni. Più volte, in questi ultimi due anni, l’ateneo ha visto la sua licenza concessa e revocata, di nuovo concessa e infine bloccata da un iter amministrativo accidentato e gli studenti hanno imparato a diffidare dei momenti di apertura del governo. Quell’aggettivo, “europeo” è una dichiarazione d’intenti che non piace a tutti gli esponenti del Cremlino. Putin stesso è stato contraddittorio e forse a seconda delle inclinazioni politiche, delle alleanze e degli interessi economici, il presidente e il governo hanno cambiato atteggiamento nei confronti delle università con forti legami con l’occidente.
L’aggettivo “europeo” disturba le forze reazionarie e nazionaliste che abitano le istituzioni russe. Ma anche in questo Mosca non è sola, è un esempio per quello schieramento di forze illiberali che da Roma passano per Vienna e arrivano fino a Budapest, dove il governo ha dichiarato guerra a un’altra università che nel nome ha sempre lo stesso aggettivo, lo stesso peccato originale che ai nazionalismi non piace affatto: la Central European University, la Ceu, l’ateneo finanziato da George Soros dove si è formato proprio Viktor Orbán. E’ un’istituzione fondata nel 1991 per creare le future classi dirigenti, e non si può dire che non sia servita a quello scopo. Eppure il governo ungherese, con molti ex studenti della Ceu, ha minacciato più volte di chiudere l’università, accusandola di servire come fulcro del piano sorosiano di scristianizzazione dell’Ungheria. Inizialmente, dopo le prime minacce di chiusura, il miliardario di origini ebraiche aveva deciso di trasferire la sede da Budapest a Berlino, ma l’università è di livello internazionale, accoglie studenti da tutto il mondo e Soros ha deciso di lasciarla a Budapest, lì dove era nata ventotto anni fa per dare all'Ungheria una nuova classe dirigente ispirata ai valori dell’ovest. L’obiettivo, a giudicare dalle aspirazioni dell’ex studente Viktor Orbán, non è stato raggiunto, ma la scomparsa della Ceu, per Budapest, sarebbe un impoverimento.