Tra Mosca e Pechino
L’ex ministro Frattini spera nella Cina e auspica partner in occidente della Russia
Roma. Tra i lidi della Trinacria la linea telefonica s’interrompe, così la conversazione con Franco Frattini, due volte ministro degli Esteri, già vicepresidente della Commissione europea, procede a singhiozzo. Si parte dalla Cina: malgrado le smentite, la visita ufficiale del ministro dell’Economia Giovanni Tria mira a sondare il governo pechinese nel ruolo di finanziatore del debito pubblico italiano. “Il ministro conosce il paese al punto di saperne parlare la lingua”, commenta Frattini, l’uomo di cui una volta Silvio Berlusconi disse: “E’ bello e nessuno sa muoversi come lui tra commi e sottocommi”.
“Quando ero alla guida della Farnesina – ricorda l’attuale presidente di sezione del Consiglio di stato – proposi ai cinesi di investire sul porto di Trieste per trasformarlo nel principale hub di smistamento merci del nord Adriatico. Purtroppo l’Europa sollevò diffidenze e obiezioni, e alla fine i cinesi si dirottarono su Capodistria”. Nel giro di due mesi, gli investitori esteri hanno ridotto l’esposizione sull’Italia per oltre settanta miliardi. “Il governo cinese ha in pancia centinaia di miliardi del debito statunitense. Se mandasse un segnale di fiducia verso l’Italia, ne sarei contento”. Il calo di fiducia è un complotto dei mercati? “Ai tempi del governo Berlusconi, una rete di soggetti interni e internazionali agì allo scopo di dimissionare un esecutivo non gradito. Oggi la situazione è diversa, io non ho elementi in proposito ma il governo dispone degli strumenti di intelligence economica necessari per verificare l’esistenza di un’operazione coordinata”.
L’ex premier Mario Monti evidenzia il rischio di un riposizionamento geopolitico del paese, non deliberato dal governo né discusso dal Parlamento. “Io rilevo piuttosto alcune linee di discontinuità rispetto al recente passato”. Secondo il sottosegretario di Palazzo Chigi, Giancarlo Giorgetti, l’Italia sta con gli americani per gli affari e con i russi per i valori. Ha detto così. “Non esistono valori standard, e l’Italia sta con i propri valori, a partire dal rispetto della dignità umana. Il mio atlantismo è fuori discussione, eppure non mi riconosco in Donald Trump. Ho avuto l’onore di conoscere e apprezzare il compianto senatore John McCain: lui incarna i valori americani”.
Dall’inchiesta sul Russiagate, emerge che numerosi profili Twitter in lingua italiana che hanno sostenuto le posizioni di Lega e M5s sono stati fabbricati a San Pietroburgo. Si riscontrano analogie con quanto accaduto oltreoceano nella corsa di Hillary Clinton e in Francia ai danni dell’allora candidato Emmanuel Macron. “Sono abituato a commentare le sentenze, non le indagini in corso. Nelle scorse settimane i tentativi dell’intelligence italiana di ottenere riscontri in proposito non hanno portato a nulla. Gli hacker sono sempre esistiti: nel 2010 alcune conversazioni riservate tra me e l’allora segretario di Stato Clinton finirono nei cables del dipartimento Usa e poi, via Wikileaks, sulla stampa internazionale. Per configurare un coinvolgimento delle autorità federali russe, servono elementi di prova”. Al vertice di Helsinki Trump ha ammesso di fidarsi più di Putin che dei servizi segreti statunitensi. “Il mondo è profondamente cambiato dal 2002 quando a Pratica di mare, con Berlusconi premier, riuscimmo a siglare uno storico accordo che consentì un allargamento del Consiglio della Nato alla Federazione russa. L’amicizia con gli Stati Uniti è un cardine della nostra politica estera, indipendentemente dal colore politico del presidente di turno. Non può essere che Trump ci piaccia quando conferma le sanzioni alla Russia e ci dispiaccia quando coccola Putin. L’Italia deve essere il ponte politico verso Mosca, partner strategico nel Mediterraneo e nella lotta al terrorismo. Non va ripetuto l’errore già commesso con la Turchia”.
Il dossier immigrazione
Veniamo all’Europa. Sul dossier immigrazione, il governo gialloverde usa minacce e ricatti verso i tradizionali interlocutori per accodarsi al gruppo di Visegrad. “All’origine dell’attuale situazione c’è la flagrante debolezza della Commissione europea. Nel 2009 il trattato di Lisbona ha trasferito la competenza su sicurezza e immigrazione dal livello intergovernativo a quello comunitario: non decidono più i singoli stati ma la Commissione europea. O almeno così dovrebbe essere. Nei fatti, i paesi membri non intendono rinunciare alla sovranità nazionale e la paralisi della Commissione è sotto gli occhi di tutti. Mi domando che fine abbia fatto la proposta del presidente Jean-Claude Juncker volta a sottrarre una quota di fondi ai paesi inadempienti sul fronte dei ricollocamenti”.
Tra questi compare l’Ungheria del premier Viktor Orbán che oggi il vicepremier Matteo Salvini incontrerà a Milano. “Il presidente del Consiglio ungherese potrebbe contribuire a finanziare progetti di sviluppo nei paesi di partenza come Niger e Ghana”. Francia e Germania sono irritati dall’atteggiamento italiano. “La tradizionale sintonia italo-francese si è incrinata perché oltralpe c’è un presidente dai toni arroganti che promette solidarietà al premier Giuseppe Conte e, un attimo dopo, conferma la chiusura dei porti francesi e il pugno duro della gendarmerie. La cancelliera tedesca, Angela Merkel, oggi più debole, è stata la sola, sul caso Diciotti, a esprimere parole di solidarietà verso l’Italia”. Per Salvini, e non solo per lui, euro e area Schengen sarebbero reversibili. Con queste premesse, è difficile apparire un partner affidabile. “Ritengo che nessuno di questi accordi sia reversibile, un eventuale passo indietro sarebbe contrario all’interesse nazionale. Da commissario europeo, promossi l’allargamento dell’area Schengen e avanzai la proposta di una interconnessione di tutte le banche dati dei paesi membri per monitorare ogni movimento in entrata e in uscita. Libera circolazione per tutti, salvo che per i criminali”.