Ti piacciono i regimi forti e illiberali? Perché allora non ci vai a vivere …
I fan della Russia di Putin e delle “democrazie illiberali” annunciano troppo presto la crisi della democrazia. Provocazione Wsj
Roma. Guardare al mondo con gli occhi dell’ideologia è un esercizio capace di generare incomprensioni e decisioni sconsiderate. Cinquant’anni fa, il pregiudizio ideologico favorevole era riservato ai paesi del blocco sovietico, o alle dittature comuniste in giro per l’Asia e l’America latina. Per anni – e perfino molto tempo dopo la caduta del Muro di Berlino – milioni di apologeti che godevano delle libertà e del benessere offerto dall’occidente hanno spergiurato che l’Urss di Stalin, la Cina di Mao o la Cuba di Castro fossero paradisi in terra, non luoghi di totalitarismo, carestie, miseria. Dalla tragedia si è passati alla farsa in anni più recenti quando gruppi nutriti di nostalgici – mentre la Cuba castrista si spegneva in una gerontocrazia patetica – hanno cercato di elevare a modello il Venezuela di Hugo Chávez e di Nicolás Maduro, vale a dire una dittatura maldestra capace di affamare i propri cittadini pur sedendo sulla più grande riserva di petrolio del mondo. Tra questi nostalgici ci sono gli esponenti di molti partiti europei che oggi sono al governo o vicini a esso, come il Movimento cinque stelle italiano e gli spagnoli di Podemos.
Oggi, nuove generazioni di occidentali accecati dall’ideologia guardano al mondo e traggono la sommaria conclusione che “la democrazia è in crisi” e che il modello autoritario è al massimo della sua forza. Vedono la Russia, che nonostante l’economia claudicante è tornata a essere una potenza militare con cui fare i conti; alla Cina, con i suoi tassi di crescita al 6 per cento; perfino ai paesi europei che teorizzano l’illiberalismo democratico come l’Ungheria di Viktor Orbán, e vedono la loro traiettoria in fase ascendente. Poi guardano al vecchio occidente, agli Stati Uniti dominati da Donald Trump, a un’Europa apparentemente incapace di reagire, al Regno Unito perso nelle follie della Brexit e dicono: il modello liberale tradizionale non ha più senso.
Si tratta di una distorsione ottica grave, ha scritto ieri sul Wall Street Journal Walter Russel Mead, che ha escogitato una domanda molto semplice per disinnescare gli entusiasmi malriposti: piuttosto che vivere negli Stati Uniti, in Germania o in Italia, preferireste vivere nella Russia di Putin, dove l’aspettativa di vita è di dieci anni in meno che da noi? O forse in Cina, dove, nonostante il tasso di crescita miracoloso, decine di milioni di persone ancora vivono in stato di povertà e non si può usare Facebook? Giusto in questi giorni sui social network ha circolato il video inquietante di una ragazza cinese che veniva prelevata a forza dalla polizia nel suo appartamento, portata via a causa di qualcosa che aveva scritto online: cosa ne pensano i nostri leoni da tastiera, bravi a elogiare gli uomini forti dimenticandosi cosa vuol dire vivere per davvero sotto un leader autoritario?
Vero, il modello liberale è lungi dal vivere il suo momento più brillante – Trump, la Brexit, le vittorie dei populisti in Europa, lo scoppio di guerre commerciali in giro per il mondo sono lì a dimostrarlo. Ma da qui a considerare desiderabili modelli alternativi che la storia ha già giudicato come fallimentari passa molta strada. E’ un fenomeno che ricorda i paradossi della conoscenza citati da Hans Rosling nel suo saggio recente “Factfulness”, in cui l’autore nota che le persone hanno la tendenza sistematica a considerare lo stato dello sviluppo nel mondo in maniera molto più negativa di quanto non lo sia realmente. E’ un po’ come dire “il modello democratico e liberale è morente”, quando invece è vivo e desiderabile – specie davanti alle alternative.
L'editoriale del direttore