La tassa di Obama sull'occidente
Libia, Iran, Siria. Appunti sui guai postumi del leading from behind obamiano
Sono felice che Obama, simbolo assoluto del Millennio, in quanto primo presidente nero e in quanto ultimo presidente colto e civile degli Stati Uniti, stia “having a good time”. Il video con la caramellina trasmessa a Michelle da George W. ai funerali di McCain è delizioso. Il suo discorso funebre, come quelli di W. e di Joe Biden, perfetto nel tono civile e storico. La sua eleganza, non priva di una qualche alterigia, spicca sempre in ogni cerimonia post presidenziale. Il linguaggio del corpo è magnificente. Si dedica da uomo totale, da coppia perfetta con sua moglie, da famiglia illustre con le figliole, ad attività generose e buon per lui redditizie. E’ un grande scrittore, ci sorprenderà in modo creativo. I criteri di vita della persona umana e di una nazione che illumina il mondo con il suo illuminismo cristiano, e la sua idea di eguaglianza e libertà, sono esposti e riesposti con grandissima eloquenza. La sua sola esistenza funge da antidoto rispetto all’esperienza crassa e per certi aspetti bestiale, molto comica, dell’impostore al potere oggi.
Detto questo. Ha dato inizio all’isolazionismo e al ripiego americano nel mondo con il suo “leading from behind”. Ha aiutato quel bifolco di Sarko nell’impresa di Libia, di cui il Mediterraneo pagherà per una generazione o due le conseguenze. Ha lasciato con il non intervento dopo l’uso delle armi chimiche, nonostante l’appello di Hollande (e Macron), che la Siria diventasse insieme il carnaio che conosciamo, e che non ha finito di tritare budella, e l’avamposto di Russia e Iran alle porte della nostra casa, procurando fra l’altro alla Merkel da lui tanto amata il piccolo guaio della migrazione biblica, quella sì un’emergenza, intorno al milione di uomini e donne e vecchi e bambini. Ha dato via libera all’Iran in cambio di promesse che sono servite soltanto a incrementare la sua potenza balistica e a spaventare a morte Israele, che non era proprio il suo darling. Ha tutelato una ripresa economica solida e continua, dopo il botto della Lehman Brothers, ma insufficiente a sanare grandi ferite sociali incipienti, che si sono messe a sanguinare tutte insieme e nello stesso momento. Ha fomentato una retorica culminata nello sfortunato slogan elettorale “Stronger Together”, che perfino Hillary, adottandolo, definiva “clumsy”, maldestro, in particolare se opposto a “Make America Great Again” o MAGA, in particolare se confrontato con l’epidemia da oppio, “Weaker Alone”, e il crescente risentimento in quei cazzo di stati industriali che hanno dato la vittoria ai punti a The Donald.
I bianchi affluenti dei campus sotto il suo regno si sono messi a difendere i safe space, cioè le zone liberate dalla libertà di pensiero e di parola. Il #MeToo è stato incubato dalla ideologia vittimista profusa a piene mani nel suo reame. Il progresso dei neri è divenuto chiacchiera benpensante, l’ultimo che abbia fatto qualcosa è Lyndon B. Johnson negli anni Sessanta. Sull’immigrazione illegale forse si poteva fare qualcosina di più, sebbene anche le strategie accorte à la Minniti non preservino da cocenti sconfitte. Ha preso Bin Laden, con gli uomini e le piste di Bush. Per il resto ha disossato gli interventi in Iraq e in Afghanistan con le note e presenti conseguenze. Ha rafforzato Putin e Xi Jinping. E’ stato ed è il cocco dell’intellighenzia, a buon titolo, perché è davvero un intellettuale preparato e un gran signore. E ci ha infine dato un successore mica male. Stop.