Donald Trump (foto LaPresse)

Il Trump furioso

Daniele Raineri

“Ci sono serpenti ovunque”. L'ultima crisi alla Casa Bianca scatena la furia e la paranoia del presidente americano

New York. Il giorno dopo la pubblicazione di una lettera anonima da parte di un funzionario di alto livello della Casa Bianca che dice di far parte di un gruppo segreto che lavora all’interno dell’Amministrazione Trump per frenare le “peggiori inclinazioni” del presidente, si è scatenata la caccia alla talpa.

 

 

 

Alcuni funzionari della Casa Bianca hanno annullato i loro impegni per dedicarsi a tempo pieno all’inchiesta, e i reporter che si occupano di politica hanno cominciato a ricevere telefonate dai loro contatti dentro l’Amministrazione a caccia di indiscrezioni su chi può essere l’autore della lettera – in un rovesciamento di ruoli a cui non fa più caso nessuno in quella che potrebbe diventare la settimana più folle del mandato. Trump ha chiesto al New York Times, che conosce il nome perché ha fatto le verifiche prima di pubblicare la confessione, di consegnare la talpa perché è un rischio per la sicurezza nazionale.

 

 

Il portavoce del vicepresidente Mike Pence ha smentito sdegnato la voce che proprio Pence fosse l’anonimo e che si sarebbe tradito per l’uso di alcuni stilemi nella lettera che ricorrono spesso nei suoi discorsi, come “stella polare” – ma a questo punto potrebbe essere anche uno del suo staff che prepara i suoi discorsi. Anche il segretario di stato, Mike Pompeo, ed ex direttore della Cia ha smentito di essere lui la talpa. Il fatto che due uomini così importanti debbano allontanare da loro il sospetto rende bene il clima di paranoia che si respira dentro la Casa Bianca oggi, e l’idea che la crisi – che a lungo è stata latente prima di scoppiare – sia soltanto all’inizio.

 

  

Due funzionari della Casa Bianca hanno detto al reporter politico Jonathan Swan che chi ha scritto la lettera “ci ha strappato le parole di bocca, avremmo voluto scriverla noi. Ci sono decine e decine che la pensano così” e che il presidente da tempo è così preoccupato per le continue fughe di notizie che aveva preso l’abitudine di girare con in tasca una lista scritta a mano dei possibili traditori. “Ci sono serpenti ovunque, dobbiamo trovarli e sbarazzarci di loro”, dice spesso. Trump è cosi furente per l’attacco del “codardo senza palle” che ha appena ringraziato via Twitter il dittatore della Corea del nord, Kim Jong-un, per “la fede incrollabile” nel presidente. “Insieme ce la faremo!”, ha detto Trump al coreano, dopo aver accusato di tradimento la stampa americana che rivela le spaccature nella sua squadra. Questo spettacolo così scomposto offerto nelle ultime trenta ore dev’essere molto apprezzato all’estero nelle capitali dei paesi che guardano all’America come un nemico.

 

 

 

La lettera inviata al New York Times

Ecco stralci del testo inviato da “un funzionario senior dell’Amministrazione Trump”:

 

Il presidente Trump è di fronte a un test sulla sua presidenza come mai nessun leader moderno in America si è mai trovato. (…) Il dilemma è che molti dei suoi funzionari nella sua stessa Amministrazione lavorano diligentemente da dentro per contenere parti della sua agenda e le sue inclinazioni peggiori.

Ne so qualcosa. Sono uno di loro.

 

Per essere chiari: la nostra non è la “resistenza” della sinistra. Vogliamo che questa Amministrazione abbia successo e pensiamo che molte delle sue politiche abbiano già contribuito a rendere l'America più sicura e più prospera.

 

Ma pensiamo che il nostro primo impegno sia nei confronti di questo paese e che il presidente continua a comportarsi a detrimento della salute della nostra Repubblica.

 

Ecco perché molte delle persone che sono state nominate da Trump hanno giurato di fare tutto quel che è nel loro potere per preservare le nostre istituzioni democratiche mentre contengono gli impulsi più scellerati di Trump mentre finché resta al suo posto.

 

La radice del problema è l'amoralità del presidente. Chiunque lavori con lui sa che non è ancorato ad alcun principio discernibile che guidi il suo processo decisionale.

 

Pure se è stato eletto tra i repubblicani, il presidente mostra poca affinità con gli ideali sposati dai conservatori: libero pensiero, libero mercato e libero popolo. Nei migliori dei casi, ha fatto riferimento a questi ideali in alcuni discorsi. Nei peggiori, li ha attaccati direttamente.

 

Oltre alla nozione molto commerciale che la stampa sia “nemica del popolo”, l'istinto del presidente Trump è generalmente anti democratico e anti commercio.

Non fraintendetemi. Ci sono dei punti di luce che la permanente copertura mediatica negativa di questa Amministrazione non coglie: la dereleguation, una riforma delle tasse storica, una difesa più solida e altre cose. Ma questi successi sono stati ottenuti nonostante – e non grazie – lo stile di leadership del presidente, che è impetuoso, ostile, meschino e inefficace.

 

Dalla Casa Bianca fino ai ministeri e alle agenzie, i funzionari ammettono in privato il loro scetticismo nei confronti delle azioni e delle parole del comandante in capo. Molti lavorano per isolare le sue azioni dai suoi capricci. (…) Può essere una piccola consolazione in questa stagione tanto caotica, ma gli americani devono sapere che ci sono degli adulti alla Casa Bianca. Sappiamo bene che cosa sta accadendo. E stiamo cercando di fare quel che è giusto anche se Donald Trump non vuole.

 

Il risultato è una presidenza a due binari.

 

Pensate alla politica estera: in pubblico e in privato, il presidente Trump mostra una predilezione per gli autocrati e i dittatori, come il presidente russo Putin e il leader nordcoreano Kim Jong-un , e al contrario mostra poco apprezzamento per i legami con i nostri alleati, nazioni che ci assomigliano.

 

Alcuni osservatori arguti hanno sottolineato però che il resto dell'Amministrazione si muove su un altro binario, in cui paesi come la Russia sono chiamati alle loro responsabilità e puniti in modo conseguente, e in cui i nostri alleati nel mondo sono trattati come pari e non ridicolizzati come rivali. (...) Questo non è l'operato del deep state. E' l'operato di uno steady state, un governo solido.

 

Alla luce di questa instabilità testimoniata da molti, ci sono stati all'interno del governo alcuni che hanno invocato il 25esimo emendamento, che farebbe partire un processo complicato per rimuovere il presidente. Ma nessuno voleva farci precipitare in una crisi istituzionale. Così cercheremo di fare quel che possiamo per raddrizzare l'Amministrazione nella giusta direzione fino a che – in un modo o nell'altro – sarà finita.

 

La preoccupazione più grande non è quel che Trump ha fatto per la presidenza ma piuttosto quel che noi come nazione gli abbiamo permesso di fare. Ci siamo inabissati con lui e abbiamo permesso che il dibattito pubblico si spogliasse di ogni forma di decenza. (…) C'è una resistenza quieta nell'Amministrazione di persone che hanno scelto di mettere il paese al primo posto. Ma la vera differenza sarà fatta dai cittadini che vadano oltre la politica, che raggiungano il fronte opposto senza badare alle etichette in nome di un'unica etichetta: quella di americani.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)