La mappa del Ppe
Con il voto sull’Ungheria la settimana prossima i conservatori dovranno scegliere: o Merkel o Orbán
Bruxelles. Manfred Weber, il capogruppo del Partito popolare europeo e aspirante Spitzenkandidat per la presidenza della Commissione, ha fornito un assist inatteso a Emmanuel Macron: indicando la volontà di fare compromessi con Viktor Orbán e Matteo Salvini, Weber potrebbe innescare la disintegrazione del suo stesso partito e accelerare la ricomposizione dello spazio politico europeo che il presidente francese vorrebbe realizzare nel maggio 2019. Il primo test ci sarà mercoledì a Strasburgo, quando l’Europarlamento voterà una risoluzione che chiede di attivare l’articolo 7 del trattato contro l’Ungheria con una procedura per violazione dei valori fondamentali dell’Ue (democrazia, stato di diritto e diritti umani). Orbán, il cui Fidesz fa parte del Ppe, martedì sarà in Aula per compattare i conservatori contro l’Europa liberal, politicamente corretta e pro migranti. Ma una parte significativa del Ppe è sempre più insofferente nei confronti del premier ungherese. In una riunione interna al gruppo questa settimana, diversi deputati dei paesi del nord, del sud e dell’est hanno detto esplicitamente di essersi stancati di Orbán. Mercoledì il Ppe dovrebbe lasciare libertà di voto. Una rivolta interna anti Orbán potrebbe portare all’uscita del Fidesz e compromettere i piani di Weber di diventare il capofila di un’alleanza tra conservatori e sovranisti in nome della “European Way of Life” bianca, cristiana e con le frontiere dell’Ue sigillate. Il risultato opposto – cioè un successo di Orbán nella sua Opa ostile sul Ppe – potrebbe invece spingere una parte del gruppo nelle braccia di Macron, lasciando aperto un grande interrogativo: che farà Angela Merkel? Con Orbán e Salvini “credo sia necessario sederci a un tavolo e (…) trovare dei compromessi”, ha detto Weber alla Stampa.
I nipotini dei padri fondatori Schuman, De Gasperi e Adenauer – agli occhi di Weber – dovrebbero “trovare una visione comune” con i nazionalisti che vogliono distruggere l’Ue. I progetti di Opa ostile sul Ppe, Orbán li ha esplicitati il 15 giugno in un discorso in onore di un europeista cristiano-democratico, Helmut Kohl: alle europee del 2019 “sarebbe facile” lanciare “una formazione anti immigrazione paneuropea. Non ci sono dubbi che avremmo un grande successo”. Ma, invece di “disertare”, meglio affrontare “il compito più difficile di rinnovare il Ppe” attorno al tema della “nostra Way of Life”, ha detto Orbán: “Proteggere i nostri popoli, le nostre nazioni, le nostre famiglie, la nostra cultura, radicata nel cristianesimo”. Un altro adepto della “European Way fo Life” cristiana, bianca e a porte chiuse è il cancelliere austriaco, Sebastian Kurz, che ne ha fatto uno slogan della presidenza di turno dell’Ue. Altri partiti del Ppe si stanno orbanizzando: la Csu bavarese di Horst Seehofer e Weber, i Républicains francesi di Laurent Wauquiez e il Partido popular spagnolo di Pablo Casado.
Il campo degli anti Orbán dentro il Ppe è meno rumoroso, ma consistente. Ci sono gli scandinavi alle prese con i loro populisti, come i Moderati in Svezia che domani rischiano di essere superati dall’estrema destra dei Democratici svedesi. L’attuale presidente della commissione, il lussemburghese Jean-Claude Juncker, giovedì ha dato voce ai cristianodemocratici del Benelux, riconoscendo che la presenza di Orban è “un problema”. Anche a est il Ppe orbanizzato non piace: in Polonia Piattaforma Civica difficilmente potrebbe restare in una famiglia europea che vuole avvicinarsi a Jarosław Kaczyinski. In Francia i gollisti storici Alain Juppé e Jean-Pierre Raffarin potrebbero usare il nuovo partito “Agir” contro i Républicains. L’ala liberale del Ppe potrebbe trovare in Alexander Stubb, ex premier della Finlandia, uno Spitzenkandidat alternativo a Weber, anche se il sistema elettorale interno favorisce il bavarese. Nel frattempo, Macron ha già avviato la campagna acquisti tra i popolari, lasciando intendere che Merkel non cederà all’orbanizzazione. “Tocca al Ppe chiarire le sue posizioni”, o Merkel o Orbán.
Dalle piazze ai palazzi
Gli attacchi di Amsterdam trascinano i Paesi Bassi alla crisi di governo
Nella soffitta di Anne Frank