“L'Onu riconosca il genocidio dei cristiani”
Appello coraggioso di giuristi, ma a Ginevra siedono i carnefici
Roma. Ieri è uscita la notizia che i diciannove martiri cristiani assassinati dai fondamentalisti islamici in Algeria tra il 1994 e il 1996 saranno proclamati beati nel santuario di Notre-Dame di Santa Cruz di Orano il prossimo 8 dicembre. La scelta della città richiama la figura di Pierre Claverie, il vescovo ucciso da un commando islamista. Quelle suore, monaci trappisti e padri bianchi finalmente avranno la beatitudine che meritano. Ma un genocidio ai danni di cristiani consumatosi non vent’anni fa, bensì ieri, fatica a essere persino riconosciuto da quella che in teoria è la più alta istanza mondiale dei diritti umani. La scorsa settimana, il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha aperto la sua terza e ultima sessione dell’anno. Si svolgerà dal 10 settembre al 28 settembre e l’European Center for Law and Justice, che presenterà un appello (con raccolta di 800 mila firme) perché l’Onu riconosca la persecuzione dei cristiani in Iraq e in Siria come “genocidio”, come sancito dalla Convenzione sulla prevenzione del genocidio. Risoluzioni che affermano il genocidio dei cristiani sono state approvate dall’Assemblea nazionale francese, dal Parlamento europeo, dal Congresso americano e dalla Camera dei Comuni di Londra, fra gli altri. “Sebbene l’Isis sia indebolito e spaventato, il micidiale genocidio contro i cristiani ha lasciato una inimmaginabile crisi umanitaria” si legge nell’appello all’Onu. “Ci sono due azioni che l’Onu deve assumere immediatamente. Dichiarare che le atrocità contro i cristiani costituiscono genocidio. E fornire l’assistenza e la sicurezza necessarie per consentire il recupero dalla distruzione causata dal genocidio e consentire il reinsediamento delle vittime”. Già lo scorso 25 maggio, l’European Center for Law and Justice aveva chiesto che l’Onu nominasse un consigliere speciale al fine di raccogliere le prove del genocidio, già note da tempo.
Secondo un recente rapporto di Aiuto alla chiesa che soffre, tra l’inizio della guerra in Siria e il 2017, il numero di cristiani è sceso da 1,5 milioni a 500 mila, forse anche meno. Ad Aleppo, che ospitava la più grande comunità cristiana, i numeri sono scesi da 150 mila a 35 mila nella primavera del 2017, con un calo di oltre il 75 per cento. In Iraq, l’ottanta per cento dei cristiani è fuggito da quel paese e si prevede che il cristianesimo in Iraq potrebbe essere sradicato “entro il 2020”, se la popolazione continuasse a diminuire.
Schiavitù sessuale, conversioni forzate, sparizioni, uccisioni di vescovi e prelati, comunità intere diventate “fantasma”, distruzione di chiese e tombe dei santi: è la realtà vissuta dai cristiani mediorientali in questi anni. Ma considerando l’alta concentrazione di regimi arabo-islamici nel Consiglio dei diritti umani è improbabile che l’istanza venga accolta e fatta propria dall’Onu. Qatar, Afghanistan, Pakistan e Arabia Saudita, per citarne alcuni, siedono proprio in quell’organismo dell’Onu e sono non soltanto fra i paesi più pericolosi al mondo per i cristiani (Asia Bibi è chiusa da tremila giorni in un lurido carcere pakistano), ma sono anche quelli che hanno ideato, diffuso e finanziato l’ideologia islamista che ha fatto terra bruciata delle comunità cristiane fondate da san Tommaso duemila anni fa e che parlano ancora l’aramaico, la lingua di Gesù. I cristiani orientali, marchiati con la nun di nazareni, sono i cani randagi dell’occidente. E poi, il bersaglio prediletto in questi anni del Consiglio dei diritti umani di Ginevra è sempre e soltanto Israele, l’unico paese mediorientale guarda caso dove il numero dei cristiani aumenta.