Il muro di Berlino nel 1988

La nostra bella DDR

Giulio Meotti

Il tumulto dell’ex Germania dell’est, il paese rosso che ha fatto un trapianto di cuore, nero. Parlano Kubitschek e Böckelmann

Il quotidiano Frankfurter Allgemeine Zeitung si chiede: “La Sassonia è ancora Germania?”. Il settimanale Spiegel mette la parola “Sassonia” in copertina, ma a caratteri marroni, alla nazista. Vista dalle grandi, ricche e multiculturali città occidentali di Amburgo, Monaco o Francoforte, l’ex Germania dell’est, oltre le foreste della Turingia e l’Elba, sembra infinitamente lontana, infinitamente altra. Tre decenni dopo la caduta del Muro di Berlino, la spaccatura tra l’est e l’ovest continua ad evolversi. E sembra che la vecchia Ostalgie, la grottesca nostalgia orientale della vita sotto il socialismo con la gloriosa vetturetta a due tempi Trabant e la “Torre” di Uwe Tellkamp, abbia trovato il proprio rovescio in una nuova forma di Westalgie, un desiderio occidentale di una Germania spogliata dell’est.

 

Dall’Afd a Pegida, tutto nasce nella ex “repubblica-carcere”, quella Germania reclusa, triste e bellissima, il tesoro della cultura

Il direttore del più venduto settimanale tedesco, Die Zeit, Josef Joffe, ha appena pubblicato un libro dal titolo Der gute Deutsche. Il bravo tedesco. “La Seconda Repubblica tedesca è la migliore Germania mai esistita: liberal, stabile e un partner riconosciuto a livello internazionale”. La parte orientale, ovviamente, non rientra in questa descrizione edificante, come se fosse un oscuro cimelio che riprende vita, come se l’ex paese rosso avesse fatto un trapianto di cuore, nero.

 

Con il 27 per cento delle intenzioni di voto, il partito di destra Alternative für Deutschland (AfD) è oggi il primo nei Länder dell’ex Germania Est. Impensabile due anni fa. La fondatrice dell’Afd, Frauke Petry, “Adolfina” per lo Spiegel, è di Dresda. Pegida, il movimento contro l’islamizzazione, anch’esso viene da Dresda. E nelle scorse settimane Chemnitz, altra città dell’est, è stata l’epicentro di drammatiche manifestazioni di piazza contro gli immigrati, dopo che ci sono stati una serie di omicidi da parte di rifugiati. Uwe Tellkamp, il grande romanziere, viene da Dresda e mesi fa si è messo nei guai per aver attaccato la politica dell’immigrazione della cancelliera Merkel.

 

“Quando la fine del mondo sarà vicina”, diceva Otto von Bismarck, “mi trasferirò nel Meclemburgo, perché tutto accade con cinquant’anni anni di ritardo”. Come spiegare che l’ex Ddr è oggi la culla del “populismo” tedesco? Alcuni studiosi indicano lo spaesamento post unificazione, il rullo compressore della “civilizzazione” occidentale, in Sassonia e in Turingia, la terra di Cranach, Goethe, Haendel, Hegel, Humboldt, Schiller e Schumann (e l’elenco potrebbe continuare), che ha trasformato le cittadine dell’Harz lontane dalle vie di comunicazione e dall’ibridazione con l’occidente.

 

E’ come se le province della “repubblica-carcere”, come veniva chiamata la Ddr, fossero rimaste quelle che erano, tristi e abbandonate. “Belle addormentate”, dicevano i rari visitatori occidentali al tempo. Quasi una regione reclusa nel mezzo dell’Europa, stracolma di tesori d’arte, di cultura e di storia, come Eisenach, città natale di Bach dominata dal castello di Wartburg, il maniero dove si rifugiò il padre della Riforma Martin Lutero che, proprio lì, tradusse per la prima volta in tedesco il Vangelo per farlo leggere al popolo. Le facciate dei palazzi hanno linee rotonde, nasi grossi. E fiori e decori, ovunque.

 

In un maniero a Schnellroda, villaggio rurale della ex Ddr, vive Götz Kubitschek, che il New York Times in una gigantografia ha chiamato “il profeta della nuova destra tedesca”, l’animatore di Compact, del sito Sezession, del think tank International Staats Politik e della casa editrice Antaios, fucina del nuovo pensiero conservatore tedesco. Non è affiliato a nessun partito, ma tutti lo chiamano l’intellettuale della Neue Rechte, la nuova destra tedesca. Kubitschek spiega questo mistero orientale con il comunismo: “Qui sappiamo che nulla dura in eterno, hanno visto uno stato crollare e sono più sospettosi della politica”. Volker Weiss, storico e autore del libro “The Authoritarian Revolt: The New Right in The Downfall of West”, ritiene che il vero nemico della destra “non è il messaggio di Maometto, ma la modernità globalizzata con tutte le sue conseguenze”. Kubitschek spende molto tempo ad attaccare il secolarismo decadente, il liberalismo di sinistra e la correttezza politica. Vede la Germania occidentale come indottrinata a una forma di “ipermoralismo multiculturale”. La moglie, Ellen Kositza, è impegnata contro “l’iper femminismo” occidentale. Per loro, l’est è dove “la Germania è ancora la Germania”.

 

“Noi dell’est non abbiamo avuto il delicato lavaggio del cervello che c’è stato a ovest” spiega al Foglio Böckelmann, direttore di Tumult

“Molti cittadini dell’ex Ddr ritengono di essere stati svantaggiati nella loro vita dalla storia” spiega al Foglio Kubitschek. “L’occupazione russa è stata una occupazione straniera molto dura. E’ finita nel 1989 e non vogliono sperimentarla di nuovo. Ecco perché è chiaro a est che la Germania appartiene ai tedeschi. Gli ex cittadini della Ddr hanno sperimentato il controllo dello stato socialista, hanno sperimentato come la politica e i media rappresentano qualcosa di diverso da come appaiono, come nascondono la realtà e denunciano coloro che descrivono realisticamente questa realtà. Non penso che le persone abbiano Goethe nelle loro tasche e Bach nelle loro orecchie. Ci sono sempre meno persone che conoscono e difendono la Germania ‘profonda’, ‘segreta’, ‘spirituale’. Si vuole invece difendere l’ordine quotidiano, la sicurezza e l’affermazione che il proprio paese rimanga il proprio paese. Vedono inoltre che il multiculturalismo e la migrazione non stanno arricchendo, ma sono un grosso problema e un affare costoso. Vogliono parlare apertamente di questi problemi e decidere senza paternalismo sul futuro della Germania. Se vengono maltrattati o addirittura criminalizzati, combattono. Dopo tutto, come cittadini della Germania orientale, hanno visto un governo e un intero edificio di bugie crollare, rovesciato da cittadini coraggiosi”.

 

C’è chi parla di rifiuto di un conformismo. “Sì, perché il conformismo politico non protegge né il pluralismo né la democrazia e né la libertà di espressione” conclude parlando con il Foglio Kubitschek. “Il conformismo politico è sempre pericoloso”.

 

Ovunque ci sono echi pre 1989. Il programma dell’Afd ad esempio dice che lo “strangolamento dell’ideologia del marxismo-leninismo” non deve essere sostituito da altre “ideologie misantrope”, come il Genderismus, l’ideologia del gender. Secondo Werner Patzelt, professore alla Technical University di Dresda, le due Germania hanno cercato di fondersi troppo rapidamente. “Il lato occidentale ha finito per assorbire quello orientale con le sue infrastrutture, istituzioni e persone. Molti tedeschi dell’ex Ddr si sono dovuto adottare a un nuovo modo di vita e cultura durante la notte. L’idea di una società aperta, multiculturale e multietnica deriva dalla rivoluzione culturale del ’68 vissuta intensamente in occidente e quasi del tutto assente dall’est. La generazione di attivisti studenteschi della Germania ovest ha continuato a occupare tutte le posizioni di vertice nei media, nelle università, nella pubblica amministrazione e nei partiti politici”. Eckhard Jesse, professore emerito presso l’Università Tecnica di Chemnitz ed esperto di estremismo politico, si è chiesto: “Che dire delle connessioni e delle interazioni tra il 1968 e il 1989 in Germania?”. I sessantottini della Germania occidentale sono oggi in prima fila a difendere le politiche di apertura merkeliane del loro paese, mentre quelli della parte orientale, che non vissero la contestazione perché stavano sotto un regime tirannico e liberticida, oggi attaccano quella eredità. Così uno dei leader dell’Afd, l’economista Jörg Meuthen, ha detto: “Vogliamo uscire dalla sinistra rosso-verde contaminata dal ’68 in Germania”.

 

Il sociologo Heinz Bude ricorda che lo slogan di Pegida “Wir sind das Volk!” (noi siamo il popolo) rispecchia la perdita dell’identità post 1989. Altri parlano delle differenze religiose fra est e ovest, il primo protestante e nazionalista, il secondo cattolico e liberale. Il 4 per cento della popolazione in Sassonia è cattolico, mentre il 19 per cento è protestante. Il fondatore dell’AfD, Bernd Lucke, ha cinque figli e frequenta la chiesa evangelica riformata. Beatrix von Storch, la dirigente erede del Casato Oldenburg, è una beghina protestante. E Frauke Petry, quattro figli e un ex marito ministro protestante, canta nel coro della chiesa di Lipsia.

 

“Abbiamo già sperimentato lo stato socialista, il controllo dei media, il conformismo” ci dice Kubitschek, ideologo della Neue Rechte

Altri ancora ritengono che il risentimento abbia radici storiche, in un culto ossessivo del lutto che continua a ipnotizzare ancora oggi. A Radebeul vive lo scrittore Jörg Bernig, membro dell’Accademia delle arti della Sassonia, nemico della correttezza politica che imporrebbe il multiculturalismo e che secondo lui ignora “il bisogno di omogeneità della gente”.

 

Bernig è diventato famoso per un saggio dal titolo “Ovunque la rabbia”, in cui spiega perché l’est è insofferente. Persino i membri della classe media istruita di Dresda nutrono nostalgia per il passato. Tali desideri sono sopravvissuti al crollo della Germania dell’est attraverso i concerti in casa e le letture di poesie nei salotti. Bernig – che ha ricevuto numerosi premi di letteratura intitolati a Eichendorff, Hölderlin e Lessing – ha scritto che la gente dell’est “non vuole che i conflitti delle altre culture vengano importati”. “Rabbia ovunque. Non sentiamo parlare di cultura. Come se non ci fosse mai stata la tesi di Samuel Huntington sullo ‘scontro di civiltà’. Come se la cultura non fosse nient’altro che un abbonamento al concerto. Ma la cultura governa la convivenza”.

 

Ci sono luoghi in Sassonia dove politici, artisti, intellettuali e uomini d’affari si sono schierati con Pegida fin dall’inizio. L’est, si dice, ha perso la Seconda guerra mondiale “tre volte”. La prima volta con la resa della Wehrmacht, con la perdita dei territori orientali della Pomerania, della Slesia e della Prussia orientale. Poi Dresda, che fu pesantemente bombardata. Poi i sovietici, con l’economia sassone che venne sottomessa. La terza volta dopo il 1989, quando l’intero territorio della Ddr divenne improvvisamente oggetto di “annessione”, come lì dicono, un po’ ingenuamente. Secondo la studiosa Sylvia Sasse, che lavora all’Università di Zurigo, si deve parlare di “socializzazione in una dittatura”. La rabbia è fondamentalmente una nuova obbedienza e sottomissione, sotto la Ddr e poi sotto gli slogan populisti. Afd e Pegida hanno reso l’obbedienza sexy. Ovvero come una rottura dal mainstream, che sarebbe tutto modellato dall’occidente. Quindi il cerchio si chiude.

 

Siegmar Faust, l’eroico dissidente che si fece il carcere duro sotto Honecker, oggi sta con la destra e contro una “religione barbara”

E a completare il cerchio, non è un caso che molti ex celebri dissidenti della Ddr abbiano abbracciato la causa prima di Pegida e poi dell’Afd. Come Siegmar Faust, arrestato dalla Stasi nel 1972 e rinchiuso in un manicomio, poi amnistiato da Erich Honecker. Da giovane, Faust ha lottato per la libertà di espressione e per i diritti civili. Fu il più massacrato dei dissidenti, perché Faust trascorse nel famigerato carcere di Cottbus più di quattrocento giorni in una singola cella, la terribile e famosa “gabbia della tigre”. A 73 anni, Faust ha scelto di sostenere l’Afd. E ha scritto articoli e saggi contro l’“ideologicamente corrotto”, contro “l’Unione europea della Repubblica socialista sovietica” e ovviamente Merkel, “che sta facendo di tutto a favore di una religione barbara, compresa la sua cultura, che si chiama islam”. C’è anche l’economista Werner Molik, anche lui prelevato nel del 1977 dalla Stasi. Si è fatto un anno e mezzo di carcere. Dopo la caduta del Muro è tornato a est. Vive nella località balneare di Heringsdorf e sostiene l’Afd. Dopo che la Polonia socialista ha imposto la legge marziale nel dicembre 1981, Arnold Vaatz ha rifiutato il servizio militare. Fu condannato a sei mesi di prigione e mandato ai lavori forzati. Nella Ddr, la sua carriera come matematico ebbe fine. Oggi è un politico della Cdu, ma comprende le ragioni dell’Afd, perché che “c’è una pressione incessante a conformarsi da parte di una società post-religiosa”.

 

“Troppi tedeschi sono diventati senza storia, senza volto, senza fondo, senza posizioni”, dice Frank Böckelmann, il direttore della rivista Tumult, che vive a Dresda, e che della sinistra tedesca fu uno dei capi intellettuali nelle rivolte studentesche (fu il compagno di botte e lotte di Rudi Dutschke). Nella sua rivista, Böckelmann si vanta di pubblicare chi sta fuori dal “nuovo conformismo”, così che i testi di Ernst Nolte sono affiancati a quelli di André Glucksmann, così come Herbert Marcuse è accanto a una critica radicale dell’islam. Parlando al Foglio, Böckelmann vede tre fattori essenziali in questa frattura fra le due Germanie. “I tedeschi dell’est non hanno avuto il delicato lavaggio del cervello dei tedeschi occidentali nel Dopoguerra, dallo spirito cosmopolita alla mondanità; la socializzazione attraverso una cultura pop dominata dagli Stati Uniti e l’indifferenza nel trattare con persone provenienti dall’estero. Dico un delicato lavaggio del cervello perché questa socializzazione è stata vissuta come un’ascensione sociale e una maggiore autostima. C’è l’esperienza tedesca orientale sull’apertura della frontiera e l’immigrazione di massa senza ancora aver superato le conseguenze di quarant’anni di dispotismo socialista e lo choc del processo di transizione brusca (1989-90). I tedeschi dell’est hanno sperimentato nel 1989 di poter scendere in strada e di resistere con successo. Molti tedeschi dell’est hanno vissuto due dittature e hanno una violenta avversione per slogan astratti e postulati: ‘comunità nazionale’ e ‘sacrificio di sé’ (abnegazione) nel nazionalsocialismo, ‘coscienza di classe’, ‘amicizia tra i popoli’ e ‘pace nel mondo’ sotto il socialismo. Ora vedono nuovo postulati nobili: ‘tolleranza’, ‘cosmopolitismo’, ‘diversità’. Molti dicono: cosa c’entra questo con noi? Cosa c’entra questo con Dresda? Cosa c’entra questo con la Germania?”.

 

E’ il nuovo Tumult, la grande turbolenza tedesca. Böckelmann conclude con un riferimento a Joffe: “Cerca di promuovere l’immagine di un nuovo, radioso tedesco, opposto a quello oscuro. Ma questo tedesco luminoso è una figura senza personalità, è tutto e niente”.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.