Il divorzio più chiacchierato di Francia
Quello (politico) tra Macron e il suo ministro dell’Interno. Raccontato punto per punto
Parigi. “Gérard Collomb, un ministro dell’Interno già all’esterno”, titola il Monde. Perché nel 2019, “se non mi ammalo prima”, ha detto scherzando ma non troppo, Collomb abbandonerà l’esecutivo francese e quel Emmanuel Macron di cui era stato il suo primo e sincero sostenitore. L’annuncio era nell’aria, da Matignon, sede del primo ministro, sostengono che “non è una sorpresa”, ma la tempistica scelta dall’inquilino di Place Beauvau fa storcere il naso a molti nella macronia, e fa gridare all’opposizione che il governo assomiglia a un “Titanic” pronto ad affondare, con un ministro che farà “l’intermittente della sicurezza” per qualche mese.
In un'intervista all'Express, Collomb ha ufficializzato a Parigi quello che già tutti sapevano a Lione: “Sarò candidato sindaco alle elezioni comunali del 2020”. Ha deciso di tornare nel suo feudo, Collomb, nella sua Lione dove è stato un primo cittadino molto apprezzato per sedici anni, e dove però sente ancora di poter dare un grande contributo.
Ha annunciato anche il calendario della sua partenza dall’esecutivo: dopo le elezioni europee del prossimo anno, lascerà le chiavi del ministero dell’Interno, perché “i ministri che vogliono essere candidati alle comunali del 2020 dovrebbero poter abbandonare il governo dopo la battaglia delle europee”. Un messaggio, quest’ultimo, diretto agli altri luogotenenti di Macron bramosi di conquistare un posto da sindaco: Mounir Mahjoubi, segretario di stato al Digitale, e Benjamin Griveaux, portavoce del governo, al comune di Parigi, Christophe Castaner, ministro per le Relazioni con il parlamento, a quello di Marsiglia, e Gérald Darmanin, ministro dell’Azione e dei Conti pubblici, a Tourcoing.
Perché se ne va, Collomb?
Perché la pressione nel ruolo di numero due della gerarchia ministeriale è forse troppo alta, perché non ha mai smesso di aver nostalgia di Lione, perché non si aspettava tutte le critiche per la riforma faro del suo mandato, la nuova legge “per un’immigrazione controllata, un diritto d’asilo effettivo e un’integrazione riuscita”, perché i rapporti con Macron (foto sopra) non sono più idilliaci.
Gégé, come lo chiama affettuosamente il presidente francese, era stato il primo ad accoglierlo nella sua Lione, nella capitale dei Galli diventata in seguito capitale del macronismo, il primo a sostenerlo quando tutta la stampa lo bollava come l’ennesima meteora liberale di una Francia imbevuta di cultura statalista, il primo, infine, a essere convinto che sarebbe salito sul gradino più alto della République.
Poi è cambiato tutto.
Scetticismo sul limite di velocità a 80km/h
La prima querelle tra Collomb e il duo di governo formato da Macron e il premier Edouard Philippe si è consumata attorno all’abbassamento del limite di velocità sulle strade secondarie francesi, dai 90km orari precedenti a 80km (la misura è entrata in vigore il 1° luglio scorso). Collomb, pubblicamente, ha giudicato la proposta inefficace e si è rifiutato di difenderla. Il primo ministro lo ha rimproverato e il clima tra Place Beauvau, l’Eliseo e Matignon non è più stato disteso come prima.
Affaire Benalla
Senza dubbio, l’affaire Benalla è stato l’inizio della fine. L’audizione nell’ambito della vicenda riguardante l’ex guardia del corpo di Macron, Alexandre Benalla, ha logorato il ministro dell’Interno, stretto tra la volontà di essere fedele al presidente e quella di essere esemplare. Il 23 luglio, giorno dell’audizione davanti alla commissione d’inchiesta parlamentare, Collomb, ha scaricato implicitamente la responsabilità sulla prefettura e l’Eliseo, nonostante le colpe per non aver trasmesso il dossier, di cui era al corrente, alla giustizia, come impone l’articolo 40 del codice di procedura penale. Il perfido Canard enchaîné ha rivelato ulteriori dettagli su come Collomb ha “abbandonato” Macron sull’affaire Benalla.
“Mancanza d’umilità”
L'ultimo atto è stato l’attacco di Collomb a tutto l’esecutivo in diretta su Bfm.tv. Davanti al giornalista Jean-Jacques Bourdin, il ministro dell’Interno ha puntato il dito contro la “mancanza d’umiltà” e la “hybris” dei suoi colleghi, lanciando un messaggio indirettamente anche al capo dello stato. Quest’ultimo l’avrebbe presa malissimo secondo le informazioni del Parisien, e nemmeno la cena segreta organizzata lunedì sera all’Eliseo ha risolto le cose. Collomb, comunque, aveva già preso la sua decisione, e Macron, come scrive l’Express, “continua a vedere i suoi ministri andarsene per la loro strada”.