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Lo smacco più grande delle spie russe

Daniele Raineri

I documenti personali dei due russi accusati di avere avvelenato Skripal vicino Londra portano ai servizi segreti di Mosca, altro che “ordinari cittadini” come dice Putin. E in Italia chi difende ancora questa farsa?

New York. Il caso Skripal è diventato il fallimento più grande e imbarazzante dell’intelligence militare russa nella storia recente. Il sito di giornalismo investigativo russo Insider in collaborazione con il sito investigativo inglese Bellingcat è riuscito ad avere accesso al passaporto di uno dei due uomini identificati dalla polizia inglese come i sicari mandati a uccidere il disertore russo Sergei Skripal. Attenzione, non si tratta del passaporto internazionale che l’uomo, Alexander Petrov, ha usato per entrare in Gran Bretagna a marzo per poi andare a Salisbury, ma del documento identificativo per uso interno che porta lo stesso nome e la stessa foto e che in teoria non è disponibile al pubblico. Questa carta d’identità ha alcune stampigliature discrete usate dai servizi di sicurezza russi e un numero di telefono che corrisponde al ministero della Difesa russo e in particolare al distretto Khodorkovsky, sede del Gru, che è l’intelligence militare. I giornalisti russi hanno provato a telefonare al numero e ha risposto il ministero della Difesa. C’è anche una scritta a mano siglata s.s., che è la sigla convenzionale per “sovershenno sekretno” e in russo vuol dire “top secret”. Inoltre è stato emesso nel 2009 e nella pagina dove per legge sono elencati i documenti d’identità precedenti e gli altri documenti d’identità, compreso il passaporto internazionale, è stato invece lasciato uno spazio in bianco, come se l’identità di Petrov fosse stata creata dal nulla nel 2009. Ripetiamo. Non si tratta del passaporto internazionale che l’uomo ha mostrato al check-in dell’aeroporto di Gatwick, vicino a Londra, quando è atterrato il 2 marzo, ma del documento che porta in tasca quando è a Mosca – e potrebbe servire da copertura a un’altra identità. Il fatto che sia finito in mano a siti investigativi è una svolta che fa crollare la lunga campagna di disinformazione da parte di Mosca, che a partire da subito, da marzo, ha risposto alle accuse con molto sarcasmo e con molti tentativi di far passare l’intera vicenda come un piano per gettare una cattiva luce sul governo del presidente Vladimir Putin.

 

Il giorno dopo le rivelazioni che riguardano Alexander Petrov, un altro sito d’informazione russo (Proekt) ha avuto accesso ai documenti del secondo uomo, Ruslan Boshirov, e ha trovato le stesse peculiarità: le stampigliature dei servizi di sicurezza e la mancanza di una vita precedente al 2009. Un giornale indipendente di San Pietroburgo, Fontanka, nota che i numeri sui due documenti d’identità di Petrov e Boshirov finiscono in 1294 e 1297, e poiché sono progressivi questo vuol dire che sono stati rilasciati a distanza brevissima l’uno dall’altro. Anche i due passaporti rilasciati con i numeri di mezzo, 1295 e 1296, appartengono a questa serie speciale perché hanno uno spazio in bianco al posto della lista dei documenti precedenti. In definitiva: il 12 settembre il presidente russo Vladimir Putin ha detto che i due identificati dalla polizia inglese sono “ordinari cittadini”, ma i loro documenti interni russi che in teoria non dovevano finire in pasto ai media non lo sono per niente. Il ministero degli Esteri russo ha risposto alla fuga di notizie accusando i siti investigativi di avere hackerato gli archivi dei documenti, ma per ora non ne ha contestato l’autenticità e sono passati quattro giorni.

 

Usare altre identità per compiere operazioni all’estero è una prassi ovvia dei servizi d’intelligence. Quando nel gennaio 2010 gli israeliani uccisero un capo di Hamas in un hotel di Dubai scoppiò un caso internazionale perché i sicari avevano usato passaporti con identità di altri paesi come il Canada e la Nuova Zelanda. Nessuno però, come è successo questa volta, era riuscito ad avere accesso ai documenti personali degli agenti. Il punto di non ritorno di questa vicenda era arrivato il giorno prima, giovedì 13 settembre, quindi prima che saltassero fuori i file personali, con un’intervista ai due – Petrov e Boshirov – trasmessa dal canale in inglese della propaganda di stato Russia Today. L’intervista – fatta dalla direttrice di Russia Today in persona, Margarita Simonyan – in teoria avrebbe dovuto scagionare i due e dimostrare che sono soltanto rappresentanti di prodotti dietetici finiti per sbaglio in un intrigo internazionale, ma le loro risposte sono state così grottesche che il video è stato controproducente.

 

Ricapitoliamo la vicenda. Nel 2010 il controspionaggio americano scoprì e arrestò dieci agenti russi che lavoravano a Washington. A luglio di quell’anno gli americani accettarono uno scambio di spie su una pista dell’aeroporto della città e consegnarono i dieci alla Russia in cambio di quattro spie russe che avevano lavorato per i servizi segreti occidentali e che erano state scoperte.

 

Il messaggio americano era che l’occidente non abbandona i suoi uomini in mano al nemico. Tra i liberati c’era anche il colonnello dell’intelligence militare russa Sergei Skripal, finito in cella quattro anni prima. Le dieci spie russe furono accolte a Mosca come eroi e furono premiate con una medaglia da Putin in persona, che poi disse: “I traditori fanno sempre una fine triste”.

 

La polizia inglese ha identificato Petrov e Boshirov come i due agenti mandati dall’intelligence russa a uccidere l’ex collega Skripal con un agente nervino sviluppato in Russia, il Novichok. Una donna inglese, Dawn Sturgess, qualche tempo dopo ha trovato da qualche parte a Salisbury il finto flaconcino di profumo usato per contrabbandare l’agente tossico dalla Russia alla Gran Bretagna, l’ha annusato, è entrata in coma e a luglio è morta. Skripal, sua figlia Yulia e un poliziotto sono stati molto male – ma sono sopravvissuti – a causa del veleno spruzzato sulla maniglia della porta di casa. La polizia inglese per ora non accusa direttamente i due russi di avere anche ucciso la donna inglese perché sospettano che qualcun altro possa essere coinvolto, forse un corriere che ha portato il veleno.

 

I due accusati sostengono di avere a lungo pianificato un fine settimana di turismo in Gran Bretagna (ma la prenotazione e l’acquisto del biglietto risalgono al giorno prima della partenza) e di avere deciso di visitare la cittadina di Salisbury, a sud di Londra, per vedere la cattedrale. Sono atterrati venerdì sera, ci hanno provato sabato pomeriggio ma non ci sarebbero riusciti “perché c’era troppa neve” e quindi sono tornati domenica – che è il giorno in cui Sergei Skripal è stato avvelenato – e la sera stessa sono ripartiti per Mosca su due voli diversi (un classico dei turisti, andare via su due aerei diversi). I due giorni consecutivi a Salisbury, che non è Venezia diciamo, hanno scatenato l’ironia degli inglesi. Secondo la polizia sabato i due hanno fatto un giro di ricognizione e domenica hanno usato il veleno. Le registrazioni delle telecamere della stazione di Salisbury dicono che Petrov e Boshirov hanno passato meno tempo nella cittadina di quanto ne abbiano passato in volo sugli aerei andata e ritorno per Mosca. Le immagini delle telecamere di sicurezza dentro Salisbury li mostrano mentre camminano tranquilli per strade sgombre di neve, senza alcun problema. Un’inquadratura li coglie in una via che non c’entra nulla con il percorso per arrivare alla cattedrale, il cui campanile si vede con chiarezza dalla stazione del treno perché si staglia sui tetti delle case.

 

L’intervista è stata una farsa talmente povera che due ricercatori che si occupano di analizzare le reazioni ai settanta video di Russia Today dedicati alla vicenda Skripal hanno notato una curiosa inversione di tendenza. Di solito i commenti sfavorevoli alla versione russa sono rarissimi, ma nel caso dell’intervista sono il settantacinque per cento. Alcuni commentatori dicono di avere cambiato idea, dopo averla vista.

 

Il caso Skripal è diventato così imbarazzante da poter funzionare come un test, anche qui in Italia. Chi continua a ignorare questo macroscopico smacco dell’intelligence russa, chi continua a fingere che l’imperatore sia vestito di abiti bellissimi, lo fa per partito preso o per interesse. A marzo il candidato del governo gialloverde alla presidenza Rai, Marcello Foa, firmò un’analisi in cui sosteneva tautologicamente che i russi non potevano avere commesso questo errore perché i russi non commettono questi errori: “Tutti riconoscono al presidente russo grande sagacia nel calibrare le sue mosse. Eccelle sia nella strategia che nella tattica… No, Putin non è leader da commettere questi errori”. Oggi sappiamo che chi ha gestito quest’operazione l’ha fatto con pochissima sagacia.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)