Tutto quello che non torna nella versione di Benalla
Testimonia al Senato il “bodyguard” di Macron (ma non chiamatelo così). Le sue dichiarazioni, e le reazioni degli altri
Parigi. Capelli impomatati, occhiali rotondi da intellò, giacca sobria e cravatta hipster, l’Alexandre Benalla che questa mattina ha risposto alle domande incrociate della Commissione d’inchiesta del Senato, sembrava un’altra persona rispetto a quella che lo scorso 1° maggio a Place de la Contrescarpe a Parigi, con modi poco repubblicani, aveva picchiato alcuni manifestanti, e messo il capo dello stato Emmanuel Macron e tutto l’esecutivo francese in guai seri.
Come per la sua difesa catodica su Tf1 lo scorso 27 luglio, la comunicazione è stata studiata al millimetro, anche se questa volta si è permesso di arrivare con quindici minuti di ritardo. Ad attenderlo, al Palais de Luxembourg, una folla di giornalisti, e dentro tutti i senatori della Commissione, tranne i tre della République en marche (Lrem), che avevano annunciato il boicottaggio dell’audizione. Il botta e risposta tra l’ex collaboratore dell’Eliseo è durato due ore e mezza, ed è stato seguito dall’audizione “silenziosa” di Vincent Crase, il gendarme e dipendente di Lrem che nelle immagini diffuse dai media appare al fianco di Benalla al momento dell’aggressione, ma non ha voluto esprimersi davanti ai senatori sul ruolo di quest’ultimo, e quella di Yann Drouet, ex capo gabinetto del prefetto di polizia di Parigi, Michel Delpuech. Contrariamente a ciò che pensavano molti commentatori, l’uomo che aveva un ruolo non ancora ben definito all’interno dell’organigramma presidenziale, ha invece risposto a tutte le domande dei senatori, cominciando la maggior parte delle sue repliche con l’anafora “pour être très précis”.
“Un gran furbastro”, dice il senatore gollista Charon
Tuttavia, nonostante la meticolosità delle risposte di Benalla, resta tutto molto fumoso, e i senatori, al termine dell’audizione, non hanno nascosto la loro delusione – Pierre Charon, senatore dei Républicains (Lr), ha detto che Benalla è “un gran furbastro”. Ma vediamo nel dettaglio i punti salienti dell’audizione di colui che dallo scorso luglio è sotto inchiesta per “violenze” assieme a Vincent Crase.
Alexandre Benalla durante la sua audizione (foto LaPresse)
Cari senatori, “vi chiedo scusa”
Va detto anzitutto che l’audizione non verteva sulle violenze commesse da Benalla lo scorso 1° maggio, bensì sulle condizioni che hanno condotto l’ex “incaricato di missione” dell’Eliseo a partecipare a delle missioni di mantenimento dell’ordine pubblico: un’indagine istituzionale sul problema della “separazione dei poteri”, per cercare di capire quale fosse il suo vero ruolo nella protezione del presidente, dato che il compito spetta a due unità d'élite, il Gruppo di sicurezza della presidenza della Repubblica (GSPR) e, all'interno dell'Eliseo, al comando militare. È la ventitreesima audizione da quando è scoppiato l’affaire Benalla, lo scorso 18 luglio, quando il Monde ha identificato il collaboratore di Macron sotto un casco da poliziotto. Nella sua introduzione, l’ex collaboratore dell’Eliseo ha presentato le sue scuse al presidente della Commissione, il senatore Lr Philippe Bas, e più in generale a tutti i membri della Camera alta francese di cui aveva detto di non avere “alcun rispetto”. “Sono profondamente dispiaciuto per le frasi pronunciate nei vostri confronti”, ha detto Benalla, “vi garantisco il mio totale rispetto”.
“Sono rimasto affascinato dal personaggio” Macron
Dopo le scuse, ha fatto un rapido excursus sul suo percorso formativo: master in giurisprudenza, esperienza come riservista della gendarmeria, poi al servizio d’ordine del Partito socialista (Ps), una missione effimera nel gabinetto di Arnaud Montebourg, ex ministro dell’Economia di François Hollande, e infine un lavoro in una società di consulenza e di sicurezza e in un’organizzazione internazionale. Sulla sua partecipazione alla campagna presidenziale, ha dichiarato queste cose: “Sono stato sollecitato da un amico che aveva aderito alla République en Marche. Mi ha chiesto se ero interessato a organizzare alcune trasferte del candidato e dei meeting. Sono andato e sono rimasto affascinato dal personaggio (Macron, ndr)”. Nel dicembre del 2016, nel mese in cui il candidato di En Marche! teneva il suo primo grande meeting a Porte de Versailles, Benalla viene reclutato e si occupa della sicurezza delle trasferte di Macron. “Il mio ruolo era quello di coordinare tutto ciò, di armonizzare il meeting e la trasferta del candidato. Abbiamo cominciato in quattro e abbiamo finito con un servizio d’ordine di 400 persone”.
Il suo arrivo all’Eliseo come “incaricato di missione”
Al termine della campagna presidenziale, vittoriosa, “Jean-Marie Girier, direttore di campagna di Emmanuel Macron, mi ha chiesto cosa desideravo fare. Le mie competenze erano l’organizzazione e la sicurezza. Sono stato chiamato dal servizio Risorse umane dell’Eliseo e ho avuto un colloquio con Patrick Strzoda che recluta il personale”, ha raccontato Benalla. Viene così assunto come “chargé de mission”, incaricato di missione, “il ruolo più basso di ciò che si può trovare nel gabinetto del presidente della Repubblica”, ha assicurato, con uno stipendio di 6mila euro netti al mese.
“Non ero la guardia del corpo di Macron, non lo sono mai stato”
Sulle sue missioni all’Eliseo, cuore dell’audizione, l’ex collaboratore di Macron ha risposto così: “Le quattro missioni che mi spettavano: l’organizzazione delle trasferte nazionali, l’organizzazione degli eventi all’Eliseo, l’organizzazione degli spostamenti privati del presidente della Repubblica e il coordinamento dei servizi di sicurezza”. Ma anche la gestione dei regali diplomatici della presidenza della Repubblica. Tuttavia, contrariamente a quanto è stato scritto fino a ieri, Benalla ha garantito di non essere “mai stato la guardia del corpo di Emmanuel Macron”. “Durante i meeting ero vicino a lui fisicamente, ma come lo erano anche altre persone”, ha spiegato Benalla, precisando di aver avuto soltanto una “funzione amministrativa” nella sicurezza del capo dello stato francese e non una “funzione operativa”. Un’affermazione che ovviamente ha sorpreso i senatori e più in generale l’intero mondo politico-mediatico francese.
La delicata questione del porto d’armi, ottenuto “per motivi di sicurezza personale, e non per quella del capo dello stato”
C’è stata molta agitazione nei ranghi della Commissione d’inchiesta quando è stato chiesto a Benalla di spiegare perché aveva ottenuto l’autorizzazione, da parte della prefettura di polizia, ad avere il porto d’armi. “Ho fatto una richiesta a titolo personale per la mia sicurezza personale, e non per quella del capo dello stato. La prefettura di polizia ha ritenuto che le mie missioni erano esposte al rischio e ha deciso di rilasciarmi questa autorizzazione”, ha dichiarato Benalla, citando in seguito altri esempi di collaboratori che hanno ottenuto lo stesso diritto al porto d’armi, come Michel Charasse, durante il mandato di François Mitterrand. Tuttavia, va ricordato che il prefetto di Parigi Michel Delpuech, a luglio, aveva detto davanti alla Commissione d’inchiesta di aver personalmente rilasciato l'autorizzazione a Benalla “in relazione al suo incarico”, e non “per motivi di sicurezza personale”.
Tesi confermata oggi dall’ex capo di gabinetto del prefetto, Yann Drouet, secondo cui il porto d’armi era stato concesso per “ragioni di coordinamento della sicurezza”. Le versioni non combaciano, insomma, le zone d’ombra restano molte su questo punto, e chissà allora quali saranno i risvolti. Incalzato dai senatori, che gli hanno chiesto maggiori dettagli, Benalla ha poi riconosciuto di essere continuamente entrato e uscito di casa con la sua arma, una pistola Glock 43, e di averla portata con sé “due volte” all’interno dell’Eliseo e qualche volta nelle trasferte pubbliche e private del presidente della Repubblica, assicurando tuttavia che i suoi superiori erano al corrente.
L’accesso all’Assemblea nazionale “un capriccio”, l’alloggio di servizio “mai occupato”
Sul badge che gli permetteva di accedere all’Assemblea nazionale come un qualsiasi deputato, Benalla si è difeso parlando di “capriccio personale per andare in palestra e in biblioteca”. Sul suo alloggio di servizio situato al Palais de l’Alma, in una delle zone più chic di Parigi, Benalla ha ammesso di aver fatto una normale richiesta “al direttore di gabinetto”, il quale glielo ha subito attribuito per “necessità assoluta di servizio”. Tuttavia, ha garantito di non averlo “mai occupato”.
“Umiliato” e “disoccupato”
“Non ho più alcun incarico, non mi occupo della sicurezza di alcun vip e sono iscritto all’ufficio collocamento”, ha affermato Benalla durante l’audizione, dicendosi “vittima di fake news” sui social e di “gossip diffusi sui media”. Sulla sanzione ricevuta in seguito ai fatti del 1° maggio e il cambio delle sue mansioni all’Eliseo comunicatogli “solo verbalmente” dal capo di gabinetto di Macron Patrick Strzoda al suo rientro dalla sospensione di 15 giorni, ha parlato di “umiliazione”.
“Le contraddizioni non sono state chiarite”, dice il presidente della Commissione
“Le contraddizioni apparse sulla definizione della reale funzione del Signor Benalla fin dall’inizio delle nostre audizioni non sono state chiarite”, ha dichiarato al termine della giornata Philippe Bas, presidente della Commissione d’inchiesta, mentre il senatore Ps Rachid Témal ha utilizzato termini più duri, parlando di “due menzogne” su cui bisognerà lavorare per far emergere la verità. “Nonostante il Signor Benalla ci assicuri che non ha avuto alcuna missione di sicurezza per il candidato Macron, né per il presidente della Repubblica Macron, ognuno può vedere le immagini e i video, dove ha il ruolo di ciò che nella sicurezza viene chiamato ‘spalla destra’ o ‘spalla sinistra’ del presidente o del candidato”, ha attaccato Témal, evidenziando in seguito la discrepanza tra le versione della prefettura e di Benalla sul porto d’armi. L’affaire, che ha già affossato politicamente diverse figure di rilievo della macronia, tra cui il ministro dell’Interno, Gérard Collomb, è tutt’altro che conclusa.