Così i caccia italiani proteggono i cieli del Baltico dagli sconfinamenti russi
Mentre la Polonia chiede a Trump di aprire una base militare nel paese, la Nato è già attiva da tempo dall'Islanda all'Estonia per arginare l'aeronautica di Mosca
"Questa in Islanda non è la prima missione di air policing a cui partecipo. Sono stato rischierato già nei paesi Baltici". A parlare è un pilota dell’Aeronautica militare, lo chiameremo Simone, con un nome di fantasia per motivi di sicurezza. Racconta al Foglio l’attività svolta per pattugliare i confini dello spazio aereo Nato, spesso violato dai velivoli russi. Intrusioni che gli aerei con la stella rossa sulla coda fanno un po’ per mostrare i muscoli, un po’ per ribadire la propria sfera d’influenza in quelle zone che erano sotto il controllo sovietico fino alla caduta dell’Urss e rimaste ora nel mirino degli interessi di Mosca.
Adesso il pilota italiano svolge il suo lavoro sui cieli dell’Islanda, ma in passato ha partecipato a missioni simili avviate in altri paesi: “La difesa e la sorveglianza dello spazio aereo della Nato ci vede impegnati anche lontano da casa. Le procedure operative comunque sono le stesse che attuiamo in Italia: il loro livello di standardizzazione è lo stesso per tutti i paesi dell'Alleanza atlantica”.
L’air policing è un programma che nasce, non a caso, a metà degli anni Cinquanta e consiste nel creare un unico sistema di difesa aerea e missilistica tra i paesi dell’Alleanza basato sulle risorse nazionali messe a disposizione dai singoli stati membri. I cambiamenti negli equilibri nel panorama internazionale, però, avevano già portato la Nato a prevedere un potenziamento dell’attività di polizia aerea nel 2014, in occasione del vertice del Galles, proprio per poter monitorare meglio i paesi del fianco orientale.
Anche questa è una delle conseguenze del ritorno a un clima da Guerra fredda nell'Europa dell'est. Come ricorda il recente incontro tra Andrzej Duda e Donald Trump: a Washington il presidente polacco ha chiesto agli americani un impegno militare stabile nel proprio paese, per tutelarsi da qualsiasi forma di ingerenza russa. “Vorrei tanto che in Polonia venisse costruita una base americana permanente che chiameremo Fort Trump”, ha detto Duda a Trump.
Prima della missione in Islanda, iniziata lo scorso 13 settembre, l’Italia insieme ad altri paesi è stata protagonista di tanti altri impegni targati Nato, sempre allo scopo di vigilare sugli spazi aerei dell’Alleanza, con particolare attenzione per gli stati sprovvisti di una difesa aerea in linea con gli standard del Patto atlantico.
Un’attività che risponde a esigenze reali e che trova la propria ragion d’essere nei numeri. Dal 9 gennaio al 3 maggio di quest’anno gli Eurofighter italiani sono stati schierati per la prima volta in assoluto anche nell’aeroporto di Ämari, in Estonia, in occasione dell’operazione “Baltic Eagle”. Qui, in circa sedici settimane, hanno compiuto 14 scramble, cioè decolli immediati su allarme, per intercettare aerei russi che sorvolavano senza autorizzazione lo spazio aereo estone.
In uno di questi casi, a marzo, furono due donne, ai comandi dei caccia italiani, a fermare nel cielo l’intrusione di un velivolo da trasporto, un Antonov 26 “Curl”, che attraversava lo spazio aereo baltico senza essersi identificato.
"È sempre molto stimolante operare in contesti che sono diversi da quelli a cui siamo abituati, soprattutto per le condizioni ambientali e meteorologiche nelle quali ci troviamo a intervenire", racconta ancora Simone, il pilota dell’Aeronautica militare. Non a caso l’attuale missione in Islanda, “Northern Stork” (Cicogna del nord), è stata preceduta da un’altra, nel 2017, chiamata “Northern Ice” (Ghiaccio del nord). Le condizioni climatiche nelle quali hanno operato i 4 Eurofighter erano proibitive: per la maggior parte del periodo di impiego decollavano con temperature attorno ai 20 gradi sotto zero.