Una manifestazione dei sostenitori di Jair Bolsonaro (foto LaPresse)

Il Truce più truce che minaccia il Brasile

Giuliano Ferrara

Se nascerà una nuova “democrazia illiberale”, sappiamo che il fenomeno nasce dall’ostilità a un establishment reo di aver  salvaguardato le libertà civili e un metodo politico accettabile di conflitto

Sul fatto che il Brasile è nei pasticci nessuno ha dubbi: recessione, disoccupazione, corruzione, violenza criminale diffusa (sette città brasiliane sono nella lista delle venti metropoli più violente). Lula aveva ridotto di qualche grado la povertà, ma il suo regime, checché ne dica il buon D’Alema che lo ha dignitosamente visitato in carcere dove sconta una condanna per corruzione, è stato, anche con il mandato di successione a Dilma Rousseff, passata dall’azienda di stato per il petrolio alla guida della Repubblica, l’incubatrice di un disastro che sfiora le situazioni-limite del Venezuela e del Nicaragua. Ora in questo orrore si è inserito il demagogo di turno, che l’Economist mette sulla stessa linea di Trump, Duterte e Salvini il Truce, una bella compagnia in verità. Solo che Jair Bolsonaro, quello di turno a Brasilia, è un candidato rampante che dichiara di non voler stuprare una sua avversaria perché è “brutta”, preferisce un figlio morto a un figlio omosessuale, giudica i poveracci delle favelas fondate dagli schiavi come gente “grassa e pigra” (effetti della “pacchia”), si accompagna con un generale della riserva, come secondo, noto per aver suggerito, quando era in divisa, il colpo di stato militare per risolvere i problemi del paese (in Brasile i generali hanno governato dal 1964 al 1985). Quando ha votato contro Dilma Rousseff, questo fino a ieri semisconosciuto parlamentare che potrebbe diventare il capo del Brasile dedicò il suo voto simbolicamente a un militare responsabile di 500 casi di tortura e di 40 omicidi. Ecco il tipo, che avanza pretese di cristianità evangelica combattente, insomma agita il suo Rosario, e si circonda di Chicago boys che promettono privatizzazioni e decrementi fiscali lanciati come bombe a effetto ritardato, di cui anche i mercati diffidano.

  

La brutta faccenda solleva due problemi. Il primo è l’efficacia in sé, in questo caso raddoppiata dall’attentato all’arma bianca che ha quasi ammazzato Bolsonaro due settimane fa, di un linguaggio politico di inaudita brutalità, che punta diritto a emozioni, paure, rabbie, frustrazioni, sentimenti violenti del cittadino medio. La “pacchia” o la “ruspa” in confronto è acqua fresca, c’è spazio per progredire su questa strada. Dipende solo dalla caratura (diciamo) politica dei leader e dalle circostanze in cui si trovano. Violare i tabù è stato per lungo tempo prerogativa intelligente della parte minoritaria delle classi dirigenti che rifiutava di lasciarsi ingabbiare nella correttezza politica, ormai è una lingua orwelliana, neolingua, che parla con eloquenza sinistra, fa a fette la comune umanità, distrugge la fiducia nel dialogo responsabile, solleva contro i fatti e la possibilità di accordo razionale sui fatti (ne parlavamo sabato qui) un’ondata di sentimenti selvaggi, incontrollati, che si diffondono come una peste bubbonica e infettano i precordi della società. La seconda questione è la natura dell’odio per le élite. Tutti gli osservatori, per quanto imparziali tendano ad essere, almeno nel metodo, concordano sul fatto che anche in Brasile, come è avvenuto per Cameron con la Brexit, per la Clinton con la cavalcata sbruffona di Trump, con Renzi e i suoi nel corso della rapida caduta a precipizio della loro “rispettabilità media”, il punto è che competenze, realismo amministrativo, rispetto delle regole del gioco, quale che sia il giudizio sui risultati, si confondono in un calderone di rigetto che taccia tutto di impostura tecnocratica, di egoismo e corruzione diffusa, portando quel carico di antipatia e di disgusto capace, nel caso brasiliano, di portare voti di piccola e media borghesia in soccorso di un Bolsonaro per la sua vittoria sul candidato designato da Lula, lo sfortunato e imbelle capo del Partito dei lavoratori. Se nascerà una nuova “democrazia illiberale”, stavolta anche con i tratti grotteschi sopra richiamati, sappiamo che cosa c’è all’origine, sappiamo che il fenomeno nasce dall’ostilità a un establishment reo di aver per lo meno salvaguardato le libertà civili e un metodo politico accettabile di conflitto e decisione. Non ho mai amato Lula e la retorica lulista, ma che una parte del suo elettorato possa convergere sulle idee putride di un Bolsonaro e sui suoi amici e complici, o che l’avversione a Lula possa spingere gli elettori brasiliani a votare una banda di potenziali golpisti, è un altro segno dei tempi.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.