L'insostenibile leggerezza dei moderati inglesi
Appunti dalla conferenza dei liberaldemocratici, dove il giallo sbiadisce e non si sa perché
Milano. E’ tutta gialla la Brighton dei liberaldemocratici, i cappellini con la bandiera europea, i foulard, le spillette, le agendine, un coro moderato che sa di sole, di energia, di allegria. La conferenza del terzo partito del Regno Unito si è chiusa martedì 18 settembre, ma a dispetto di quest’immagine gioiosa i liberaldemocratici sono un pochino tristi, un pochino preoccupati, un pochino grigi. Ci sono i soliti problemi di leadership, avvicendamenti veloci e dall’aspetto precario – Vince Cable ha tenuto il discorso di chiusura, come già l’anno scorso, ma i commentatori dicono sicuri: questo è l’ultimo – e ci sono i ricordi del passato che oggi fanno dire: mai più alleanze con i due grandi partiti, perché l’avventura con i conservatori di David Cameron dal 2010 al 2015 aveva portato a un sostanziale annichilimento del partito, partner di minoranza poco valorizzato. Ma queste dichiarazioni tattiche paiono fuori sincrono: bisognerebbe prima tornare a contare, poi sì, avrà senso collocarsi in una coalizione, o ignorarla. Ora manca il peso specifico ed è questo che toglie al giallo ogni luce, perché il posizionamento del partito liberaldemocratico è quello moderato, contro la Brexit, liberale, centrista: il famoso terzo partito che nella polarizzazione del Regno dovrebbe dare voce agli europeisti è proprio questo, potrebbe accogliere i moderati di destra e di sinistra, diventare il luogo del 48 per cento che ha votato contro il divorzio dall’Ue, e magari riscoprirsi più grande, se è vero che il rimpianto e lo spavento hanno ribaltato le percentuali del referendum del 2016. Invece no, i liberaldemocratici “sembrano periferici anche quando sono parcheggiati in mezzo alla strada”, ha scritto sul Guardian Rafael Behr. E non è che, come si sa, il sistema elettorale inglese non premia i partiti piccoli: è che i liberaldemocratici non piacciono, pure quando hanno tutte le caratteristiche che i moderati vanno cercando, ed esistono già, che non è poco, considerando la fatica che si fa soltanto a pensare a una rifondazione di un partito o alla creazione di un fronte unito contro gli estremismi.
Vince Cable martedì ha teso di nuovo la mano. I Tory e il Labour sono ostaggio di leader e idee radicali, “erano grandi chiese e sono diventati dei culti di intolleranza”, i moderati si devono mettere “in marcia”, “facciamoli entrare, e se sono troppo timidi per venire da noi, collaboriamo”, ha detto Cable, rilanciando “la crociata” per un nuovo voto sull’esito del negoziato sulla Brexit, il simbolo della “resistenza contro le forze dell’illiberalismo”. La frase che aveva dato il nome al discorso – “erotic spasm” – è stata pronunciata male, nello scorno collettivo: Cable ha detto “exotic” più che “erotic”, e a parte il fatto che con erotic era stato rituittato da siti che si occupano di sesso, il risultato finale non è molto diverso. Cable vuole denunciare il godimento maligno dei falchi della Brexit, lo spasmo erotico di farsi male e far male in nome di un progetto fallimentare. Cambia e rileva semmai la capacità di questo appello di fare presa: stiamo vedendo anche in Europa quanto è difficile creare una formazione compatta contro i populismi. E forse il giallo che sbiadisce dei liberaldemocratici ci dice che il problema non è il partito inglese, ma i liberali, che non hanno ancora capito se vogliono restaurare un ordine già esistente (e per sua natura vecchio) o ribellarsi a quello nuovo che si è costituito adesso, sotto i nostri occhi.