Il fantasma venezuelano tormenta il fragile governo spagnolo di Sánchez
I venezuelani che fuggono in Spagna sono in aumento. E il contagio di Caracas divide in due l’Europa
Roma. Il sud America ha un problema chiamato Venezuela. L’Europa ha un problema chiamato sempre Venezuela. E soprattutto la Spagna, questa Spagna, la Spagna di Pedro Sánchez, ha un problema che si chiama allo stesso modo: Venezuela. Che la crisi migratoria sia al centro del dibattito, sposti voti, determini la stabilità dei governi, non è una novità e parlare di strategie contro l’immigrazione sembra essere una garanzia di successo.
Fino a pochi mesi fa, gli spagnoli sembravano essere immuni al problema e, anche se da gennaio a luglio a Madrid erano arrivate quasi 25.000 persone, secondo i dati dell’agenzia delle Nazioni unite International organization for migration, solo il 3,5 per cento dei cittadini percepiva il fenomeno come uno dei problemi del paese. Nonostante il caso Aquarius, e il cambio delle rotte delle navi che nel Mediterraneo di fronte alla chiusura dell’Italia hanno deciso di riparare in Spagna, i quotidiani di ogni schieramento rimanevano piuttosto cauti. Anche i politici evitavano i toni tipici di certi partiti populisti. Intanto Pablo Casado, nuovo leader del Pp, fiutava l’aria, studiava quello che avveniva in Europa e ha iniziato anche lui a capire che sì, l’immigrazione è un ottimo argomento di cui parlare per vincere. E se si pensa che in Spagna i migranti non arrivano solo da mare, ma anche da terra sfondando la barriera dell’enclave di Ceuta – segno che forse gli accordi tra la Moncloa e i governi marocchino e algerino non funzionano più come un tempo e che l’esecutivo socialista ha interrotto l’uso della forza alle frontiere – parlare di immigrazione è ancora più complicato.
Coma ha spiegato Politico, ora Pedro Sánchez ha anche un altro problema che riguarda sempre l'immigrazione, ma non solo. E questo problema – sudamericano, europeo e spagnolo – si chiama Venezuela. A causa delle violenze, della fame e del caos politico, i venezuelani vogliono abbandonare il loro paese e, per un fatto di vicinanza linguistica e prossimità culturale in molti vorrebbero raggiungere la Spagna. Questo pone Pedro Sánchez, primo ministro di un governo fragilissimo, di fronte a un dilemma. Il leader del Psoe dovrà rispondere alle necessità di un paese in crisi, dove manca di tutto, dai diritti civili al cibo, ma il suo partito ha sempre avuto forti legami con il Venezuela , soprattutto l’ex premier socialista José Luis Rodríguez Zapatero. Così come Pablo Iglesias, leader di Podemos, partito che appoggia l’attuale governo, è stato consigliere politico di Hugo Chávez, predecessore del presidente Nicolás Maduro.
Anche in questo caso, il conservatore Pablo Casado ha annusato l’aria, e percependo la mancanza di iniziativa del premier in carica ha iniziato a corteggiare, insieme a Ciudadanos, i dissidenti venezuelani – alcuni di loro che già risiedono in Spagna hanno detto che se Podemos dovesse vincere le elezioni, sono pronti a fare le valigie per andarsene – e ha accusato Sánchez di essersi dimostrato troppo debole nei confronti di Maduro. Nonostante il primo ministro abbia appoggiato le sanzioni dell’Ue contro i funzionari venezuelani, quando il presidente colombiano Ivan Dunque gli chiese se fosse d’accordo nel definire il Venezuela un’obbrobriosa dittatura, Sánchez fu evasivo e disse: “E’ chiaro che un sistema che ha dei prigionieri politici non è una democrazia”. Nonostante le pressioni, Sánchez ancora non dice che i venezuelani che fuggono in Spagna sono in aumento.
Il Venezuela è un problema che sta dividendo in due l’Europa: una metà lo ha celebrato, una metà denigrato. Gli anni di sostegno a un regime che ha portato a una grave crisi umanitaria ora pesano anche negli equilibri interni delle nazioni europee. Il Venezuela ormai è un fantasma che, impalpabile, è arrivato a contagiare tutti. Sud America, Europa e Spagna.
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