Duello in Texas
Nel fortino dei repubblicani d’America si insinua Beto O’Rourke, con la sua campagna da “insurgent” contro le armi e contro il muro
Sabato sera all’Auditorium Shores di Austin c'è stato un concerto da oltre ventimila biglietti venduti del cantante country Willie Nelson e dedicato a sostenere la causa di Robert Francis “Beto” O’Rourke, il candidato democratico al seggio di senatore del Texas – che come si sa è uno degli stati più repubblicani d’America. E’ vero che il texano Willie Nelson è un cantante country atipico, ha un debole dichiarato per i liberal e ha anche un certo stile di vita poco conservatore: quando nel 2006 la polizia della Louisiana fermò per un controllo il bus del suo tour la zaffata di marijuana che uscì dalla porta era così forte che gli agenti procedettero a una perquisizione immediata e ne trovarono quasi sette etti – non è esattamente un modello dabbene per i repubblicani. Ma gli esperti di statistica avevano provato che di solito c’è una forte correlazione tra gli americani che ascoltano musica country e gli elettori di Trump e del partito repubblicano e se adesso pure i concerti country che dovrebbero rassicurare la pancia del paese fanno da colonna sonora al candidato democratico vuol dire che in Texas sta succedendo qualcosa. Avevamo assimilato bene molti cliché successivi al trionfo di Donald Trump nel 2016 – il forgotten man, l’americano che vuole tenersi le armi e non vuole più stranieri, il repubblicano che non vuole sentire ragioni – e invece a questo giro dovremo tenere gli occhi aperti.
A quasi un mese dalle elezioni di midterm, i sondaggi ballano ancora parecchio e Ted Cruz, l’incumbent, è molto nervoso
Mancano trentasei giorni alle elezioni di metà mandato che servono per rinnovare una parte del Congresso americano e in Texas c’è il repubblicano Ted Cruz, 47 anni, a difendere il suo seggio dal democratico “Beto” che in spagnolo è un’abbreviazione di Roberto, 46 anni. Gli esperti pensano che sia una delle sfide più interessanti in assoluto. Il Texas è uno stato dove i repubblicani sono sempre stati molto forti senza interruzioni fin dagli anni Novanta, nel 2012 i texani votarono Mitt Romney e nel 2016 votarono Trump con un distacco di nove punti percentuali su Hillary Clinton, mentre nel resto dell’America succedeva il contrario e il voto popolare premiava lei. In teoria in questi giorni Cruz torreggia nei sondaggi sopra O’Rourke con un vantaggio che oscilla tra i tre e i dieci punti percentuali e lo batte anche come ampiezza di seguito sui social media – e di molto – ma il democratico è uno sfidante anomalo, mette nella sua campagna un’energia non comune e continua a far preoccupare gli strateghi della campagna repubblicana. Il 19 settembre per la prima volta un sondaggio Ipsos citato da Reuters ha dato O’Rourke davanti di due punti su Cruz nella fascia dei texani “che probabilmente andranno a votare”, ma con una percentuale di errore del tre e mezzo per cento: il che vuol dire “non sappiamo con certezza cosa dirvi”. Il campione sondato è diverso da quello che di solito si usa per le rilevazioni, ma di nuovo c’è un senso sottile di disorientamento fra i repubblicani e c’è il timore che le cose potrebbero andare male per il senatore in carica Cruz – come a inizio settembre hanno confidato due pezzi grossi del partito al New York Times. La rete tv Fox dice che Beto è impegnato a “leading an insurgent campaign” contro Cruz e usa quella parola, “insurgent”, che di solito si usa per i guerriglieri in Iraq e per i talebani in Afghanistan che riescono a spossare e a svuotare di risorse eserciti molto più potenti di loro.
Venerdì il sito FiveThirtyEight specializzato in analisi politiche e statistiche che riguardano le elezioni ha pubblicato una bella analisi per dire di nuovo che il Texas non è più da considerare assegnato in partenza ai repubblicani ma è uno stato toss-up, dove i due partiti se la giocano. Spiega che è vero che di solito chi è già in carica ha un vantaggio sui rivali, ma è un effetto che vale soprattutto negli stati piccoli con un elettorato omogeneo e invece il Texas è uno stato enorme con elettori molto diversi – pensate a tutti i naturalizzati messicani e ai giovani imprenditori. Inoltre Beto O’Rourke ha raccolto ventitré milioni e mezzo di dollari in singole donazioni da parte dei cittadini contro i quasi dieci milioni di Cruz, il settantuno per cento delle donazioni contro il ventinove per cento. Non è un indicatore sicuro, ma è un indizio. I social media si divertono e mostrano Cruz mentre su un aereo per Washington scorre foto del rivale sul suo telefonino.
Occhio al voto delle donne: Cruz è nella commissione Giustizia che decide le sorti del giudice accusato di tentato stupro
L’ansia per la conquista del Texas da parte dei democratici – se succedesse sarebbe la novità politica dell’anno – è tale che a ottobre Donald Trump potrebbe volare in Texas per tirare su Cruz nei sondaggi. La notizia è significativa almeno per due ragioni. La prima è che di questi tempi il presidente è più considerato una zavorra che un aiuto. Molti nel partito vorrebbero tanto che si parlasse soltanto dell’andamento dell’economia americana, che sta benissimo, della disoccupazione che è sotto al quattro per cento e quindi è virtualmente a zero (quattro persone su cento che cercano lavoro dal punto di vista statistico sono irrilevanti, sono una percentuale fisiologica di persone che stanno mollando un lavoro per trovarne uno migliore o che hanno deciso di prendersi una pausa per motivi loro) e dei record di Borsa. E invece si parla sempre e soltanto di Trump. Trump che si fa rubare le lettere sulla scrivania dello Studio ovale dai collaboratori. Trump che fa sghignazzare l’Assemblea generale delle Nazioni Unite con le sue vanterie. Trump che nomina il giudice Brett Kavanaugh alla Corte suprema e ne scaturisce una battaglia combattutissima sulla conferma – con effetti da studiare sull’elettorato femminile, perché gli esperti della campagna repubblicana temono che le donne puniranno Cruz che sedeva nella Commissione Giustizia e che ha ascoltato la deposizione precisa della professoressa Blasey Ford e poi ha confermato Kavanaugh. Insomma, se da senatore giochi la carta Trump in un’elezione locale nell’ottobre 2018 è perché sei più nervoso del dovuto. E poi c’è il fattore personale. Il presidente che vola in soccorso di Cruz è una scena da romanzo perché durante e dopo le primarie tra i due c’era odio puro. Di solito in questi casi si scrive “malcelato”, ma neppure questo è vero. Era odio visibilissimo, perché Trump è arrivato ad accusare il padre di Cruz di essere coinvolto nell’omicidio del presidente Kennedy e ha insinuato che Cruz non può partecipare alle elezioni perché in realtà è nato in Canada, che è vero ma è nato da madre americana quindi è cittadino americano – una variazione minore della famosa campagna contro Obama – e Cruz dal palco della convention ha rifiutato di dare il suo endorsement a parole chiare al candidato repubblicano e ha detto: “Votate secondo la vostra coscienza…”. Trump ha messo su Twitter la foto della moglie di Cruz e di sua moglie Melania con il commento: “Un’immagine vale più di mille parole”, come a dire guardate io ho sposato una modella straniera e lui un cesso. Cruz ha detto di Trump che è un “codardo piagnucoloso”, un “bugiardo patologico da manuale di psichiatria”, un “uomo senza morale”, un “donnaiolo seriale” e un “narcisista come questo paese non aveva mai visto prima”. L’altro ha risposto di non volere l’endorsement di Cruz. Ora saliranno assieme su un palco per difendere il seggio texano. Sono appena passati due anni, che però nell’éra politica di Trump corrispondono al doppio o al triplo perché si può cambiare idea nel giro di una notte (come ha scoperto il presidente siriano Bashar el Assad, che credeva di essersi messo al sicuro con l’arrivo di Trump alla Casa Bianca e invece ora teme per la sua vita da quando ha scoperto grazie ai giornali che il presidente americano ha ordinato di eliminarlo).
Il riverito giurista Cass Sunstein dice che Beto è “reaganesco”, ha una capacità alla Ronald Reagan di essere ottimista e di trasmettere sensazioni positive agli elettori. Ha il sole in tasca, direbbe Silvio Berlusconi. Come impostazione generale ripudia la polarizzazione estrema fra “noi” e “loro” e tenta di essere il più inclusivo possibile, anche perché se si mettesse a fare troppe distinzioni non avrebbe speranze di raccogliere i numeri necessari a scalzare l’avversario. Si vince tentando di convincere qualche repubblicano a cambiare preferenza, per una volta. Quando Ted Cruz qualche giorno fa è stato cacciato da un ristorante da una piccola folla di contestatori – questa cosa di cacciare i politici dai ristoranti è molto in voga a Washington: visto cosa succede quando si estrae il genio del populismo dalla bottiglia? – lui ha scritto un messaggio pubblico per dire che è una protesta sbagliata, Cruz ha il diritto di cenare tranquillamente dove vuole assieme con la sua famiglia. Quando alla fine del primo dibattito gli hanno chiesto come vuole il rito se c’è qualcosa che lui apprezza nel rivale ha detto “l’impegno sincero per il suo paese”, che è un complimento vero. Cruz non ha ricambiato la cortesia e ha detto: “La sua passione, che mi ricorda quella di Bernie Sanders” e così ha subito evocato davanti alla platea texana lo spettro del socialismo.
O’Rourke ha girato lo stato in auto per quindici mesi e ora ha ricominciato il giro. Ha raccolto più del doppio dei soldi di Cruz
Il curriculum di Beto non è da cartolina del Texas: imprenditore nel software e nei servizi internet con parecchio lavoro fatto a New York, da studente suonava il basso in una banda di punk rock, oggi è uno dei nuovi democratici che da dentro vogliono cambiare un partito considerato troppo stagnante. Cita molto spesso i due pilastri della sua campagna. Uno, è finanziata con le donazioni dei singoli cittadini e respinge le donazioni dei Pac, acronimo di political action committee, i cartelli che rappresentano gli interessi delle corporation e in tempi di elezioni spargono denaro a pioggia per ingraziarsi i candidati – che devono sostenere i costi di campagne molto costose. Due, ha raggiunto guidando la sua auto tutte le 254 contee del Texas una per una nel giro di quindici mesi (ha finito a giugno e ha ricominciato) perché rifiuta la procedura standard degli altri candidati democratici che negli anni passati si sono sempre concentrati sulle grandi città – lo facevano perché c’è una migliore resa tra investimento in tempo e denaro e il ritorno in voti e anche perché nelle campagne i texani sono considerati impermeabili alla linea politica dei democratici. L’idea di O’Rourke è invece che i texani lo staranno a sentire anche se dice cose che non piaceranno loro. Per esempio ha preso una posizione molto dura sul caso della poliziotta che di recente a Dallas, mentre era fuori servizio, è entrata in un altro appartamento del suo condominio e ha ucciso un uomo di colore “perché non obbediva agli ordini”. Si tratta di una storia poco chiara, molti fanno notare che la versione della poliziotta non regge – perché è entrata in un appartamento non suo? – e che è perfettamente legittimo per tutti i cittadini non obbedire a un intruso armato e in abiti civili. Ma un candidato in Texas che rifiuta il riflesso automatico “law and order” a favore della polizia spicca. Beto è contro la vendita di armi da guerra come il fucile AR-15 che è stato usato in molte stragi in tutto il paese – e stasera il suo sponsor country Willie Nelson canterà una canzone composta per l’occasione che dice: “The biggest gun we’ve got is called the ballot box / if you don’t like who’s in there, vote ’em out”, l’arma più grossa che abbiamo si chiama urna, se non ti piace chi c’è adesso mandalo via con il voto”. Dieci giorni fa la Reuters ha fatto un articolo sui repubblicani texani che intendono votare il democatico perché pensano che nel paese ci siano troppe armi. E qualche giorno fa durante un comizio ha detto che è una follia costruire il muro al confine con il Messico come vorrebbe Trump perché la sicurezza non è mai stata così alta, “fra cinquant’anni gli studenti che leggeranno di noi e del muro si chiederanno: ‘ma come facevano a essere così pandejos?”, così coglioni. Gli spettatori che parlano spagnolo, come tantissimi in Texas incluso Beto, sono scoppiati in un’ovazione.
A ottobre potrebbe arrivare Trump a sostegno del suo ex nemico e rivale, e per molti è un sintomo chiaro di disperazione
Ci sono un altro paio di anomalie sul curriculum di O’Rourke. Nel 1998 è stato arrestato dopo un incidente mentre cercava di fuggire in stato d’ebbrezza. Era la sera del suo ventiseiesimo compleanno, ha tamponato un camion, è finito sulla corsia opposta, è uscito dalla macchina e ha tentato di camminare via, ma un passante l’ha bloccato. Ha fatto un servizio civile riparatore e ha ammesso la sua colpa. Qualche anno prima da studente è stato arrestato mentre con i compagni di scuola tentava di entrare in un edificio del Paso. La cosa è stata rubricata come episodio di scemenza giovanile. Entrambe le macchie sono così lontane nel tempo che non sono più efficaci e nemmeno Cruz le usa per danneggiarlo.
Detto questo, il Texas è pur sempre il Texas e potrebbe schiacciare la campagna insurgent del democratico Beto senza battere ciglio, l’effetto Trump potrebbe spazzare via i cantanti country speranzosi e gli imprenditori internet che fanno molti chilometri in macchina. Ma il risultato è importante a prescindere, perché chi prevale tra Cruz e O’Rourke potrebbe diventare il candidato nazionale nel dopo Trump, quando arriverà il momento.