Quanto è cambiata la Catalogna a un anno dal referendum? Per niente
Nuove facce e nuovi protagonisti politici, ma sempre gli stessi slogan, nessun passo in avanti e moltissimi déjà-vu
Roma. A Barcellona e in tutta la Catalogna, a un anno esatto dal referendum fallito sull’indipendenza della regione spagnola, ci sono stati: manifestazioni di piazza e disordini, scontri con la polizia, gran sventolìo di bandiere catalane, invocazioni roboanti per la “repubblica”, slogan minacciosi sulla guerriglia di strada, promesse ambigue di indipendenza da parte dei politici catalani, dichiarazioni violente sul pugno duro contro i manifestanti da parte dei più opportunisti tra i politici spagnoli. Se questo può sembrare un déjà-vu, una continua ripetizione dello stesso copione politico, è perché in quest’ultimo anno della politica catalana, che avrebbe dovuto essere fondativo e rivoluzionario, in realtà niente è cambiato per davvero, anche se all’apparenza tutto è diverso.
Le manifestazioni di gruppi pro indipendenza sono cominciate domenica a Barcellona (scontri con la polizia) e sono proseguite, giorno dell’anniversario. Strade e ferrovie bloccate in tutta la Catalogna. Il governatore Torra ha sostenuto i manifestanti, ma loro chiedono le sue dimissioni
Gli scontri a Barcellona sono cominciati due giorni fa, domenica, quando un gruppo di indipendentisti di estrema sinistra che si fa chiamare Cdr (Comités de Defensa de la República) e che è controllato dalla Cup, il partito maoista che fa da ago della bilancia nel Parlamento locale, si è scontrato con i Mossos d’Esquadra per le strade del centro. La polizia catalana si è trovata a difendere dagli indipendentisti facinorosi una manifestazione del sindacato della polizia spagnola, che chiedeva aumenti di stipendio. Ci sono stati 24 feriti lievi e sei persone arrestate, ed ecco il primo déjà-vu: tutti sono tornati a parlare dei Mossos. Il primo ottobre di un anno fa, i Mossos avevano giocato un ruolo chiave, facilitando, anziché ostacolare come sarebbe stato loro dovere, la votazione del referendum illegale. Furono elogiati come eroi dagli indipendentisti e come traditori da tutti gli altri spagnoli. Il loro comandante di allora, Josep Lluís Trapero, è ancora sotto indagine per sedizione, e un anno fa tutti si chiesero se un intero corpo di polizia fosse passato dalla parte degli indipendentisti, o se gli agenti fossero stati politicizzati dai loro comandanti. Domenica questi stessi agenti gli indipendentisti li hanno manganellati, si sono presi di traditori dall’altra parte, ma il dilemma dei Mossos, contesi da due stati, è sempre lo stesso.
Oggi, giorno dell’anniversario, gli scontri e le manifestazioni sono continuati in tutta la Catalogna. I Cdr hanno bloccato in mattinata le rotaie del treno ad alta velocità (Ave) all’altezza di Girona (le linee sono poi state ripristinate), dove hanno anche preso d’assalto il palazzo della delegazione del governo per strappare la bandiera spagnola. A Tarragona hanno interrotto delle strade ad alta percorrenza, altrove hanno impedito ai camion di uscire da un centro logistico. Le proteste più grosse sono state a Barcellona, dove i manifestanti hanno bloccato diverse strade del centro. Inizialmente erano 13 mila, ma poi la marcia si è ingrossata quando hanno aderito altri movimenti indipendentisti. Gli slogan sono noti, sono sempre gli stessi cantati da anni, e uno in particolare è un grande déjà-vu: “Las calles serán siempre nuestras”, le strade rimarranno sempre nostre, come a dire: abbiamo il monopolio delle manifestazioni di strada e della mobilitazione popolare.
La Catalogna e la dialettica con gli estremisti
Quim Torra, il nuovo governatore catalano di fede indipendentista, era vicino a Girona per la commemorazione dell’anniversario, e ha sostenuto le manifestazioni di piazza: “Continuate a fare pressione, fate bene a mantenere alta la pressione”, ha detto ai Cdr. Molti si sono stupiti: come può un rappresentante delle istituzioni sostenere dei facinorosi che bloccano le strade e le ferrovie? Ancora un déjà-vu: come nel 2017, le forze politiche indipendentiste sono perennemente sotto il ricatto della parte più estremista del movimento, che ha il controllo delle mobilitazioni di piazza e soprattutto può determinare la caduta del governo catalano dentro al Parlamento locale di Barcellona. E come nel 2017, l’estremismo degli indipendentisti va oltre ogni tentativo di contenimento da parte delle figure più istituzionali: nonostante il sostegno, i Cdr hanno chiesto le dimissioni di Torra, perché non è abbastanza deciso nel perseguire la secessione a qualunque costo.
Quim Torra dovrebbe essere un rappresentante di una nuova classe politica: prima dello scorso maggio, quando è stato nominato governatore (la carica ufficiale è: presidente della Generalitat della Catalogna), era semisconosciuto. A ben vedere, tutti i personaggi che hanno segnato il processo indipendentista un anno fa oggi sono spariti dalla circolazione: Carles Puigdemont, il predecessore di Torra, è in esilio autoimposto in Europa centrale, e di lui si sente parlare sempre meno, anche se la sua influenza resta grande a Barcellona; il suo principale alleato politico, Oriol Junqueras, è ancora in prigione; Mariano Rajoy, presidente del governo spagnolo che ha usato la mano dura contro i catalani, è stato detronizzato dal suo rivale socialista, Pedro Sánchez, in una manovra parlamentare, ed è tornato in Galizia come privato cittadino. La rigenerazione politica che tanto è auspicata nelle democrazie occidentali si è verificata in Catalogna e in Spagna, ma nulla è cambiato davvero: i nuovi politici continuano a recitare gli stessi slogan di quelli vecchi. I leader indipendentisti hanno trascorso un anno intero a parlare di repubblica, di secessione e a chiedere la liberazione dei “presos politicos”, i leader catalani messi in prigione perché accusati di sedizione. Ma al netto degli slogan, il processo di indipendenza è rimasto fermo a dove si trovava un anno fa: c’è il risultato di un referendum illegale, ci sono numerosi proclami privi di ufficialità da parte del governo di Puigdemont, ci sono le battaglie intestine tra le varie componenti del movimento indipendentista.
Le manovre del governo Sánchez
Poco si è mosso anche sull’altro versante: quasi tutto lo spettro politico spagnolo è rimasto molto duro con il movimento indipendentista catalano. Qualcosa sarebbe dovuto cambiare con l’avvento al governo del socialista Pedro Sánchez, che da sempre è stato più aperturista con le istanze della Catalogna. All’inizio del mese, il governo di Madrid ha proposto di indire un nuovo referendum per dare più autonomia a Barcellona (non si parla di secessione). Sánchez ha salutato l’iniziativa come un grande passo in avanti, ma i catalani lo hanno rifiutato sdegnosamente: o indipendenza o niente. Eccolo, un altro déjà-vu: i tentativi di dialogo tra Barcellona a Madrid che franano irrimediabilmente, per colpa degli estremisti dell’una e dell’altra parte.