I bambini dimenticati di Tornillo
Distratti dall’amore di Trump per Kim e per il suo giudice abbiamo smesso di sentire i pianti dei bimbi
Ci siamo distratti con le lettere d’amore che Donald Trump riceve da Kim Jong-Un, la love story geopolitica del mese, prima si davano di ritardato e di grassone e ora si amano, s’intendono, si capiscono: la pace nel mondo è questione di chimica. Ci siamo distratti con il giudice piagnucolone che tratta i senatori americani come già fece l’abile Zuckerberg: sprovveduti che non sanno cos’è una pubblicità su Facebook e che non riconoscono la differenza tra un gioco con tre bicchieri di birra e un threesome.
Ci siamo distratti perché Trump è il re degli intrattenitori, un pifferaio, noi ci dimeniamo indignati e intanto lo seguiamo esattamente dove vuole lui. Intanto però l’America si trasforma, mostra una pelle avvizzita che mai vorremmo vedere sulla democrazia più giovane e più dinamica d’occidente: domenica il New York Times ha pubblicato un articolo straziante sui bambini e i ragazzi immigrati clandestinamente che il governo ha fermato alla frontiera. Sono tredicimila, cinque volte quelli che c’erano lo scorso anno. E se prima in un mese o poco più trovavano una sistemazione, una destinazione, ora ci mettono il doppio del tempo, e a volte non basta.
E una destinazione non c’è, a meno che non si voglia considerare casa quei rifugi – un centinaio – che sono stati creati in tutta America per ospitare i ragazzini clandestini, in attesa di un ricongiungimento con le famiglie, o di un semplice rimpatrio. Il New York Times ha raccontato che cosa avviene in una tendopoli a Tornillo, una cinquantina di chilometri da El Paso, sul confine con il Messico. E’ stata costruita a fine giugno per ospitare 400 persone: ora ne può tenere 3.800, ma vigono regole diverse rispetto alle altre strutture. A Tornillo, non si va a scuola per esempio: vengono consegnati dei libri di testo, ma non c’è alcun obbligo di leggerli, studiarli, fare gli esercizi.
I ragazzini arrivano di notte, con uno zainetto per i vestiti e qualche snack per il viaggio: vengono chiamati, tu parti stasera, poco preavviso per non rispondere alle domande, per non dover consolare ragazzi che devono salutare gli amici che si sono appena fatti, in questi luoghi senza tempo e senza genitori che una volta erano promessa, andiamo in America!, il cuore della notte per evitare fughe, ché il buio fa paura ai bambini. Sulla cintura hanno scritti i numeri di emergenza da chiamare in caso di pericolo.
Alcune persone che lavorano a Tornillo hanno raccontato lo strazio degli arrivi, occhi impauriti, dove mi trovo, quanto resto, dove sono i miei genitori, posso almeno parlare con loro al telefono. Non ci sono risposte, non c’è tempo nemmeno per offrire un fazzoletto, ci sono tanti, tantissimi bambini da gestire, e quel che a loro pare quasi un regalo – almeno non andiamo a scuola – per tutti gli altri è il sintomo di un’inefficienza inaccettabile, non sostenibile nel lungo periodo. E i numeri non scendono, anzi, il tempo non cura la disperazione, le urla dei bambini divisi dai loro genitori alla frontiera – ricordate quei pianti? – sono state mezze dimenticate, perché ci sono altre emergenze, o altri pettegolezzi, o altre cartoline da crazytown.
Si cercano i genitori o più generalmente gli sponsor, persone che si fanno avanti e dicono di volersi far carico di questo o quest’altro ragazzino: ma spesso anche gli sponsor sono clandestini, e così nessuno si fa avanti, i ragazzi restano soli, diventano taciturni o rabbiosi, provano a scappare e non ci riescono, si rimettono in camerata e rimangono zitti. Non c’è tempo per rispondere alle loro domande, siamo circondati da bambini tristi, dicono quelli che si occupano di loro, almeno i pianti attiravano l’attenzione, anche fuori dalle gabbie. Il silenzio invece smette di essere emergenza.
Dalle piazze ai palazzi