Macron è forse un pazzo, ma di sicuro è sempre più eccitante
Sarà anche uno snob delle grandi scuole, però quando affronta la folla ne dice di ogni e sempre nella direzione giusta
Questo Macron è sempre più eccitante. Fa delle cose buone, ordinate, di riformismo liberale con le cautele della protezione sociale, ma senza esagerare in dilazioni e diluizioni, secondo le premesse e le promesse che lo hanno portato alla testa della V Repubblica battendo il lepenismo ed emarginando i partiti storici. Fa bene, e gli va tutto male. E’ costretto a licenziare, ma con ritardo che diventa scandalo, un suo uomo di mano e di fiducia, il famoso Benalla, che si comporta in modo bizzarro improvvisandosi manganellatore nel centro di Parigi: rovinate in un istante la foto rock ai Mondiali di Mosca e l’eco della vittoria strategica con i sindacati sulla riforma delle ferrovie, rinviata la riforma costituzionale. Perde un popolarissimo e amletico leader degli ambientalisti, M. Hulot, carattere stravagante come l’eroe omonimo del grande Jacques Tati (“Le vacanze di M. Hulot”), che lo molla senza preavviso perché ha ricevuto all’Eliseo i cacciatori e gli ha dimezzato il peso della quota sociale del porto d’armi pagata allo stato. Nel giro di un mese perde anche una vecchia volpe socialista che lo aveva fiancheggiato da subito nell’avventura presidenziale, Gérard Collomb, e il caro Gegè lo costringe da ministro dell’Interno a una pantomima: caro presidente io me ne vado, no resta, no me ne vado a rifare il sindaco di Lione, meglio primo in provincia che secondo tuo a Parigi. Nel paese dell’autorità sacrale, una diminutio da brivido per il numero uno, che aveva appena fatto un selfie con un paio di rapinatori di Saint Martin, ai quali naturalmente aveva impartito una lezioncina civica, con tanto di dito medio. I sondaggi sono in picchiata. Il presidente appare stordito. Si era voluto nello stile presidenziale Gioviale, nel senso di Giove pluvio, e si ritrova nella necessità di esercitare la funzione au quotidien, selfie compresi, mannaggia.
Però, e per questo è eccitante, strano e contraddittorio rispetto ai vaneggiamenti pro moltitudine, pieni di pregiudizi e di banalismi sociologici, che vanno per la maggiore, quando affronta la folla ne dice di ogni, e sempre nella direzione giusta, forse ineffettuale, della verità della cosa. Un machiavellismo ardito, da principe nuovo, in un paese che come diceva Sarkozy, è “monarchico e regicida”. Sarà anche uno snob delle grandi scuole, un parigino fatto e finito, individualista e sprezzante, incapace di contenere in sé il bene del popolo, sta di fatto che ieri ha incarognito con le sue incantevoli provocazioni, e proprio nei giorni più duri in cui è costretto a un rimpasto e l’opposizione finalmente, dopo un anno di magra, ha trovato il modo di metterlo severamente sotto schiaffo. Prima, dalla Danimarca, aveva detto che la “stirpe gallica” è refrattaria al cambiamento, sebbene numerose rivoluzioni e metamorfosi dicano in apparenza il contrario. Forse voleva dire cambiamenti sociali, aperture liberali, modernizzazioni vere, perché cambiano i regimi e i bonapartismi e gli orleanismi e i repubblicanesimi si susseguono tra una decapitazione e l’altra, ma in Francia, si sa, lo stato non si tocca. Chissà. Qualche giorno dopo, spazientito, ha detto a un giovane orticoltore che chiedeva lamentosamente un lavoro di attraversare la strada, e il lavoro lo avrebbe trovato, un segno di disprezzo sociale nell’interpretazione dei più. Ieri ha superato sé stesso. I pensionati sono stati una sua solida base elettorale, lui però ha tolto loro qualcosa in favore degli attivi, compensati da tagli ai contributi sul lavoro e da un aumento del potere d’acquisto, di qui la grogne, il malessere, un’aria di fronda sociale. E lui, adamantino nel suo snobismo di qualità, ha risposto per strada durante un bagno di folla a Colombey-les-Deux-Églises: miei cari, io caccio solo soldi che prendo da qualche altra parte, insomma devo favorire voi o chi vi paga le pensioni. Brutale. Ma per non farsi mancare nulla, ha aggiunto: il paese starebbe meglio se la finisse di lamentarsi; e ancora: i francesi vedono solo quel che si prende loro, il resto lo trascurano. Tutto molto vero. Epperò, mamma mia.
Un po’ è la sindrome di Marie Antoinette, la vecchia storia delle brioches che sono lì a disposizione ove manchi il pane, o almeno così appare a chi ha voglia di menare il presidente dei ricchi, cosiddetto; un po’ è che i sanculotti nazionalpopulisti lui li ha sconfitti nella primavera del 2017, prendendo l’ondata controtempo, ha ancora tre anni e mezzo abbondanti di protezione del comando presidenziale verticale al riparo delle istituzioni della République, e allora rilancia la sfida alla demagogia e agli strimpellatori di valori del “vecchio mondo”, la definizione è sua, che si scappellano davanti a Maduro, tifano Corbyn e Putin e vorrebbero una buona, vecchia e cara Francia in preda alle sue inveterate abitudini. Forse è un pazzo, questo Macron, ma appunto è eccitante.