In Germania non ci sono solo populismi mangiatutto e Merkel in crisi
In Baviera c'è chi non si è lasciato coinvolgere nella competizione tra destra ed estrema destra. Appunti sui Verdi tedeschi e su un’alternativa
I giornali tedeschi e anche quelli europei non fanno che parlare del crepuscolo della cancelliera, Angela Merkel, con quel termine – Merkeldämmerung – che è ormai ovunque, soprattutto sui manifesti e sui feed twitter dell’Alternative für Deutschland (AfD), che sull’implosione della Merkel scommette da tempo. Anche l’AfD tiene banco: l’ondata populista cresce, con la sua versione di piazza che diventa nera, nerissima, e ora punta a ottenere un riconoscimento ulteriore, alle elezioni in Baviera di domenica 14 ottobre, il prossimo appuntamento per prendere la temperatura politica del continente europeo. Ma c’è un’altra storia che racconta quel che sta avvenendo in Germania, e che potrebbe rivelarsi interessante anche in altri paesi dell’Ue. Cas Mudde, uno dei più grandi esperti di populismo non foss’altro perché ha iniziato a studiare il fenomeno in tempi non sospetti, ha sintetizzato bene la questione in un tweet, in cui segnalava un articolo di Reuters sulla ascesa della destra estrema in vista delle elezioni bavaresi: “Che importa cosa dicono i sondaggi – ha scritto Mudde – né che gli elettori dei Verdi saranno quasi una volta e mezza di quelli dell’estrema destra, voglio comunque scrivere il mio articolo sull’avanzata dell’estrema destra!”. Ecco: i Verdi. Come si sa in Baviera il partito principale, la Csu cugina a livello nazionale della Csu merkeliana, sta perdendo molti consensi: i sondaggi dicono che è al collasso, ma senza essere del tutto catastrofisti si può dire che la Csu ha perso il suo ruolo predominante, oltre la metà dei voti, che la faceva paragonare dai politologi a un partito unico nordcoreano. Questo scivolamento non è nuovo ma è progressivo, ha a che fare con i suoi leader (litigiosissimi) e con la sua strategia, che è stata quella di rincorrere l’AfD verso destra. Questo affanno non ha pagato: ha portato a crisi a livello nazionale con la Merkel e soprattutto a un’erosione dei consensi, a vantaggio dell’AfD.
Questa è una parte della storia. L’altra parte è che non tutto il popolo bavarese, che ha la fortuna di vivere in uno dei posti più prosperi d’Europa, si è fatto trascinare nella lotta tra destra ed estrema destra. Secondo i sondaggi, i Verdi sono attorno al 18 per cento, quando all’ultima votazione erano al 9 per cento: consensi raddoppiati. E’ ovvio che l’AfD raccolga più titoli, visto che nel 2013 non c’era e ora è al 13 per cento, ma l’ascesa dei Verdi è significativa per molti versi. Il primo riguarda il deterioramento della Csu (che passa dal 48 per cento a una media del 35) e dell’Spd, che dal 21 per cento del 2013 ora è data al 12. Il sistema tradizionale non tiene più, non soltanto in Germania. I Verdi però raccolgono buona parte dei disamorati, tanto che la coleader dei Verdi in Baviera, la trentatreenne Katharina Schulze, dice che “qualcosa è nell’aria”, il sistema politico sta cambiando, ma non c’è solo rabbia nera, paura nera, “non serve lamentarsi di continuo di quanto tutto sia terribile”. I Verdi hanno proposte inaudite, che la Schulze porta in giro con un sorriso e una buona dose di sfrontatezza: sono orgogliosi della politica d’accoglienza dei migranti, sono per una maggiore integrazione europea e hanno cercato di utilizzare il termine “heimat”, patria, alleato naturale delle destre, colorandolo ovviamente di verde con le proprie politiche ecologiche. Forti di questo momentum, sperano di portare elementi dell’esperimento bavarese su scala nazionale e, obiettivo ultimo, su scala europea. Visto che c’è la crisi del sistema politico tradizionale, approfittiamone, dicono i Verdi tedeschi, allungando mani ai colleghi di altri paesi. L’ambizione di una rinascita verde a livello continentale pare un pochino esagerata, ma il segnale, se sarà confermato, è chiaro: per la prima volta in Baviera si parla di un eventuale governo Csu con i Verdi, e no, non esiste soltanto l’alternativa populista.