Lettera da Tokyo
L'asse Italia-Giappone è molto in forma, anche dove non te l'aspetti
L’ambasciatore Starace ci indica un numero che pochi hanno notato e un’area in cui non esiste solo la Cina
Il soft power italiano in Giappone non è mai stato così forte. In ogni angolo della capitale giapponese, in ogni centro commerciale, è facile imbattersi in un ristorante italiano. E poi grandi firme, fashion, design, Made in Italy. La notizia, però, è che la forza del nostro paese non è limitata soltanto ai settori tradizionali, quelli più conosciuti. Negli ultimi anni l’interscambio tra Italia e Giappone è cresciuto in quasi tutti i campi, da quello culturale ma anche e soprattutto a quello scientifico.
A spiegarlo al Foglio è l’ambasciatore italiano a Tokyo, Giorgio Starace, che ci riceve all’interno di una delle più belle sedi diplomatiche italiane nel mondo (si trova nell’antico giardino del clan Matsudaira, che è legato alla leggenda dei 47 Ronin). L’entrata in vigore dell’accordo di libero scambio tra Unione europea e Giappone, poi, “sarà una rivoluzione”, dice Starace.
Eppure la comunicazione su questo accordo è stata un po’ scarsa e frammentata, e in questo momento si preferisce privilegiare il rapporto dell’Italia con la Cina: “Non drammatizzerei sulla comunicazione – dice l’ambasciatore – i benefici del trattato saranno concreti e visibili presto, con una liberalizzazione commerciale sin dal momento dell’entrata in vigore su molte categorie merceologiche, tra le quali per esempio il vino. Per altri prodotti, invece, il processo sarà graduale, ma comunque significativo dal punto di vista della riduzione tariffaria. Un’economia come quella italiana non può prescindere da una partnership con la Cina, ma anche con il Giappone. Lo vediamo dall’accelerazione delle nostre esportazioni: tra il gennaio e il giugno di quest’anno abbiamo raggiunto, secondo i dati pubblicati dal Ministero delle Finanze giapponese, un +23,8 per cento”. Un aumento record, mentre il primo partner commerciale europeo del Giappone, cioè la Germania, cresce soltanto dell’11,1 per cento, e la Francia è in leggera flessione. E questa è una prima notizia: perché per conoscere il dato reale dell’export italiano in Giappone non bisogna guardare soltanto ai dati Eurostat/Istat. L’Istat, al pari delle altre agenzie statistiche europee, rileva i dati relativi al paese di prima destinazione, a prescindere dalla destinazione finale, ma i dati sull’import del ministero delle Finanze giapponese raccontano un'altra storia: “Secondo i dati giapponesi il nostro export nei primi sei mesi del 2018 vale 5,1 miliardi di euro. Superiamo in valore assoluto la Francia, e rischiamo di fare 10 miliardi di euro alla fine dell’anno”.
L’Ambasciata d’Italia sta aiutando le imprese a riappropriarsi, dopo un periodo di crisi, del mercato più occidentale dell’Asia orientale: “E c’è un atteggiamento positivo da parte delle aziende, ormai il Giappone è considerato un mercato in ripresa”, dice Starace. Mentre Tokyo ha ritrovato la sua stabilità politica, con il governo di Shinzo Abe riformatore e realista, cosa si dice qui della nostra situazione? “C’è di sicuro un’attenzione particolare e favorevole degli investitori giapponesi all’Italia, che dal 2012 a oggi hanno investito circa 6 miliardi di euro, alcuni dei quali in ambiti infrastrutturali di importanza strategica, per esempio Tempa Rossa (Mitsui) e Ansaldo STS (Hitachi). L’attenzione è stata forte sul Def, al nuovo governo e a come si muove, ma non c’è nessuna preoccupazione sul fatto che l’Italia possa uscire dall’euro: danno per scontato che questo non accada. La nostra è una fase nuova, ma l’andamento congiunturale del rapporto tra Italia e Giappone è quanto mai solido, nonché rafforzato dal rapporto politico, ben sviluppato in ambito G7 e che va crescendo, come da ultimo dimostrato dal recentissimo incontro a New York, a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, tra il ministro Moavero Milanesi e l’omologo Taro Kono”.
Nelle ultime settimane si è parlato della rinnovata partnership tra Italia e Cina soprattutto per quanto riguarda l’Africa e il fronte antiimmigrazione che dovrebbe frenare lo sviluppo di matrice cinese. Il famoso aiutiamoli a casa loro. Molti analisti però mettono in guardia sul cosiddetto “neocolonialismo” di Pechino nel continente africano: lasciare che se ne occupi la Cina significa rinunciare ai valori occidentali di cooperazione e democrazia, oltre che alla nostra influenza strategica nell’area. L’alternativa possibile viene da progetti di cooperazione condivisi: “Abbiamo introdotto da un anno e mezzo una collaborazione sconosciuta nei rapporti tra Italia e Giappone”, dice Starace. “La possibilità di cooperare sinergicamente in Africa in progetti di sviluppo. Abbiamo lanciato il progetto con una conferenza internazionale (Italy, Japan and Africa: New Visions of Africa) nel maggio scorso alla Sophia University di Tokyo, in collaborazione con la Comunità di Sant’Egidio e un’associazione buddhista, Rissho Kosei-kai, a cui hanno partecipato più di settecento tra ministri africani, ambasciatori, membri di ong, stampa, accademia e studenti. Stiamo iniziando a collaborare in maniera sempre più concreta”.
Il Giappone è già un grande contribuente dell’Africa – basti pensare all'opera di ricostruzione nipponica nel Sud Sudan – così come l'Italia. “Noi con il Giappone condividiamo principi, ideali, priorità e le più avanzate tecniche di cooperazione – dice l’ambasciatore Starace – Tutti elementi per poter sviluppare assieme aree di crisi. Credo molto a questa idea delle triangolazioni tra due economie che hanno la possibilità di cooperare in aree di reciproco interesse strategico. E’ un modo anche per aiutare le nostre aziende a essere protette, perché possano affrontare in modo più strutturato la concorrenza con i grandi giganti”.