Che succede in area Macron
En Marche in Europa non decolla, ma l’alleanza progressista c’è
Milano. Il progetto europeo di Emmanuel Macron stenta a decollare. Da un punto di vista ideale, sarebbe in realtà già fatto: il presidente francese è il frontman del popolo europeista, in contrasto con il popolo nazionalista, il custode del progetto europeo contro i portavoce di un nuovo ordine europeo, fatto di sovranismo e di “my country first”. Per combattere questa guerra – chiara, definita – la Francia ha cullato la speranza di esportare il progetto di En Marche su scala europea: rifonderemo le famiglie politiche europee, ha iniziato a dire Macron dopo il successo elettorale che lo ha portato all’Eliseo, siamo qui a braccia aperte, chi è europeista, liberale, aperturista è il benvenuto. E’ il modello En Marche: un partito nuovo che ha scardinato i partiti tradizionali e ha attirato a sé molti esponenti di peso di quelle formazioni. Né di destra né di sinistra: europeisti. Il cantiere europeo si è aperto con lo stesso entusiasmo e la stessa carica di En Marche: grande mobilitazione e grande lavoro diplomatico per provare a dare forma a una nuova forza che strappasse ai popolari e ai socialisti europei i membri più moderati, sempre più scomodi nelle loro famiglie d’appartenenza.
Nonostante i corteggiamenti (alcuni più goffi degli altri) e nonostante la determinazione che ancora resiste nei toni, il progetto per ora non è riuscito. E’ importante dire per ora, non soltanto per cautela o scaramanzia: En Marche stesso dimostrò di essere una calamita irresistibile circa tre mesi prima dell’appuntamento elettorale. Potrebbe essere così anche per la sua versione europea.
Prevale però la sensazione che prima del maggio del prossimo anno non ci saranno nuove formazioni europee, nemmeno i sovranisti con il vento in poppa pensano di creare un gruppo pre elettorale, ci si conterà e ci si alleerà a voti conquistati. Ieri il magazine Politico Europe ha raccontato la convergenza tra Macron e Mark Rutte, il premier olandese che ha sconfitto frammentazione e populismo nel suo paese. Due liberali che uniscono le forze, che decidono di lavorare insieme per compattare il fronte europeista – magari senza definirlo liberale, termine tossico in quell’Europa che s’è scoperta cicala anti austerità. Si preferisce la dizione “fronte progressista”, che è una formula in realtà potentissima (il progresso!) ma che oggi suona più neutra, e più accettabile. Rutte e Macron triangolano con la cancelliera tedesca, Angela Merkel, ma senza avvicinarsi troppo: sono tutti europeisti, ma la posizione macroniana non è mai stata coincidente con quella merkeliana (e comunque la Merkel non si sposta dal Ppe). Rutte ha una visione terza rispetto ai due, ma in questa fase tende verso Macron, perché insieme potenziano l’area liberale, che in Europa fa capo all’Alde. C’è chi spiega che in realtà le distanze con la Merkel si sono accentuate e le sfumature di europeismo fra i tre leader sono molto diverse, ma non è questo il momento dei tecnicismi: il fronte europeo è questo, non è in un unico partito come sognava Macron, ma c’è. L’alleanza quasi del nord (la Francia dovrebbe essere un garante del sud, in teoria) conta sul fatto che la sfida sia troppo importante e strategica per perdersi in troppe distinzioni. Il progetto europeo di Macron non ha funzionato nella sua versione originale, ma se queste elezioni europee si trasformeranno in un referendum sul futuro dell’Europa, gli europeisti sanno dove e con chi stare, in marcia anche senza dirselo.