Così la Germania sta creando gli antidoti al populismo
I limiti entro i quali si muove l'AfD, movimento nato come antieuro e convertitosi presto alla lotta contro i rifugiati. C’entra anche un’opinione pubblica reattiva
Roma. Vista da Monaco l’Italia dei Salvini e dei Di Maio sembra lontanissima. Se i sondaggi della vigilia saranno confermati, infatti, dopo il voto di domenica prossima in Baviera i populisti di Alternative für Deutschland (AfD) potranno piantare la loro bandierina nel Parlamento del Land più ricco e il secondo più popoloso della Germania, ma non sfonderanno la barriera dei consensi (12 per cento) ottenuti nelle elezioni federali, probabilmente retrocederanno. In Baviera i vincitori saranno i Grünen, i Verdi, che sembrano avviati al raddoppio dei voti. Forse i populisti potranno rifarsi nella piccola Assia la prossima settimana o nel 2019 in Sassonia, il Land dell’est con pochi immigrati e molti nemici dell’immigrazione. Ma l’onda (che nessuno nega) non sembra avere le caratteristiche per diventare uno tsunami e l’esito previsto del voto di domenica sembra confermarlo. Occorre mettere in fila alcuni fatti per comprendere i limiti entro i quali si muove il populismo alla tedesca incarnato da AfD, movimento nato come antieuro e convertitosi presto alla lotta contro i rifugiati (ma non contro le istituzioni come tali). Il punto fondamentale non è solo che i partiti tradizionali sono piuttosto ammaccati ma non sono morti, è che gli anticorpi della democrazia sono vivi e la società civile sulle rive della Sprea appare reattiva. Nel suo libro “Grande storia della Germania”, Heinrich August Winkler descrive le tappe della costruzione della nuova identità nazionale, democratica e occidentale, dopo la catastrofe del 1945: la democrazia contro il possibile ripetersi della devastazione politica e civile, il culto della memoria a beneficio delle nuove generazioni, il rifiuto del nazionalismo, la base federale dello stato come mezzo di allargamento della rappresentanza.
Questi valori fanno tuttora parte della coscienza della maggioranza dei cittadini, perché la cultura politica tende a mantenere vivo il significato della catastrofe. Quando il leader di AfD in Turingia, Björn Höcke, ha definito “monumento della vergogna” il monumento alla Shoah nel centro di Berlino, i media si sono sollevati e hanno stigmatizzato la dichiarazione; il presidente della Repubblica, Frank-Walter Steinmeier è intervenuto a sua volta: “Inaccettabile”. La settimana scorsa a Monaco tremila persone, perlopiù appartenenti ai partiti di sinistra ma non solo, hanno manifestato contro il presidente bavarese Markus Söder, che aveva lanciato lo slogan “l’immigrazione è la madre di tutti i problemi”, con le donne che alzavano i cartelli con la scritta: “L’immigrazione è la madre di mio marito”. E poi c’è, anche se gestito un po’ maldestramente, il recente siluramento condiviso dai tre partiti di governo, inclusa la Csu di Horst Seehofer, ministro dell’Interno, del capo dei servizi segreti Hans Georg Maassen per la sua condotta nei confronti dei manifestanti di destra di Chemnitz. L’ascesa dei Grünen e della lista Frei Whäler (Liberi elettori), ma anche il probabile reingresso dei liberali di Fdp nel Parlamento locale sono anch’essi prova dei limiti entro cui si muovono i populisti. Si tratta di movimenti che insistono sul centro dello schieramento politico e hanno drenato voti dall’Spd e dal tracollo della Csu. Il Parlamento che dovrebbe uscire dalle elezioni sarà dunque un’assemblea più frammentata ma per ciò stesso non polarizzata sulle estreme. Attendibilità dei sondaggi permettendo, la lezione bavarese è che se è vero che il crollo della Csu chiude un’epoca, il superamento a destra di AfD da parte della stessa Csu e i continui litigi con Angela Merkel non hanno pagato. Se la coalizione che uscirà dal voto, tutti danno come probabile Csu e Verdi insieme, sia un possibile modello a livello nazionale è difficile dire, probabilmente no. L’alleanza tra la Cdu e Csu esce indebolita dalla prova nel suo complesso, ma la cancelliera paradossalmente quasi rafforzata, perché nello scontro con il suo ministro Seehofer e con la tentazione verso destra a perdere non è stata lei. Per il sempre annunciato Merkeldämmerung – il crepuscolo della Merkel – bisogna aspettare ancora.