A sinistra il governatore della Baviera, Markus Söder, a destra Horst Seehofer (foto LaPresse)

Perdere il potere, la lezione della Csu

Andrea Affaticati

Domani si vota in Baviera. Il partito che governa il Land in solitaria dagli anni Sessanta rischia di ottenere il peggior risultato della sua storia. L’ultimo duello tra Seehofer e Söder

Domani, domenica 14 ottobre, i bavaresi sono chiamati a votare per il rinnovo del parlamento regionale. Stando ai sondaggi, la Csu oscilla tra il 33 e il 35 per cento. Se le urne dovessero confermare queste previsioni, sarebbe il peggior risultato nella storia del partito e anche la fine del governo monocolore. Cosa affatto di poco conto visto che, a parte la legislatura 2008-2013, i cristianosociali governano questo Land da soli dagli anni Sessanta.

 

I media descrivono le elezioni di domani come il duello decisivo tra il governatore 51enne Markus Söder e il 69enne capo della Csu e ministro federale dell’Interno Horst Seehofer. Söder aspetta da tempo che Seehofer molli finalmente la guida del partito e si è dato molto da fare in questo senso nell’ultimo anno. Alla luce del 44 per cento dei voti ottenuto dalla Csu l’anno scorso alle elezioni politiche, aveva spinto Seehofer ad accettare un ministero e a trasferirsi a Berlino. Questa primavera poi, Seehofer gli aveva ceduto anche la guida del Land. A dire il vero a mettere alle strette Seehofer non era stato tanto quel 44 per cento, ma il 10 per cento ottenuto dall’Alternative für Deutschland (Afd) in Baviera. Franz Josef Strauß, storico capo della Csu, si deve essere rivoltato nella tomba. Sua, infatti, la frase: “Alla destra della Csu non ci deve essere nessun partito”.

 

Söder inoltre aveva iniziato a fare suo qualche slogan populista. Per esempio andava dicendo che il multilateralismo era ormai al capolinea, che l’estero doveva più rispetto alla Germania e che per lui il motto era “prima la Germania”. Come Seehofer in passato, anche lui aveva pensato bene di srotolare il tappeto rosso per il premier ungherese Viktor Orban. Per un po’ era sembrato che lui, Sebastian Kurz, capo del partito popolare e premier austriaco, e Matteo Salvini potessero costituire una sorta di triumvirato euroscettico e antagonista del presidente francese Emmanuel Macron. Il New York Times, a dire il vero esagerando, gli aveva affibbiato il soprannome “Germany’s Trump”.

 

Ma nonostante una retorica più muscolare, Söder sembra non essere riuscito a convincere l’elettorato più conservatore del partito. Un elettorato che non ha mai digerito la politica dell’accoglienza di Merkel e rinfaccia sia a lui che a Seehofer di non essere riusciti se non già a sconfiggere Merkel almeno a sconfessare la sua politica. E nemmeno è riuscito a convincere l’ala più moderata del partito, anzi questa negli ultimi mesi si è mostrata piuttosto irritata dai continui scontri tra Monaco e Berlino. Spesso anche esterrefatta dalla mancanza di rispetto verso la Kanzlerin. Tant’è che a metà luglio diverse decine di migliaia di bavaresi sono scesi in piazza per protestare proprio contro questa “retorica della denigrazione”. Quanto poco Söder sia riuscito a far breccia tra i bavaresi lo metteva nero su bianco quest’estate un sondaggio condotto dall’istituto di ricerca Forsa: dallo stesso Söder risultava essere il governatore meno amato della Germania. Un giudizio che, stando a quanto scriveva qualche giorno fa il quotidiano Die Welt, è rimasto pressoché invariato.

 

E’ vero che rispetto ai politici “prussiani”, come vengono etichettati in Baviera quelli che governano a Berlino, i politici bavaresi sono sempre stati più sanguigni, scaltri e per certi versi anche opportunisti. Ne è un esempio Seehofer che abbaia e ringhia contro Merkel, non si fa scrupolo di scatenare una crisi di governo, minaccia di dimettersi, per poi, intuita la malaparata, tornare nei ranghi. Söder non è da meno, ma facendo peggio. Per esempio delegando il ruolo di agente provocatore al suo sodale ed ex ministro dei Trasporti Alexander Dobrindt. Seehofer almeno si è sempre esposto in prima persona. E poi Söder manca di una sincera empatia, agli occhi di molti è tutto calcolo e poca passione. Ancora poco tempo fa lo si sentiva dire che il multilateralismo è finito, la Germania non deve sottostare ciecamente ai diktat di Berlino. Una linea che nel frattempo deve essere parsa un tantino troppo euroscettica, considerando che i bavaresi sono in maggioranza filoeuropeisti. E così ha pensato bene di invitare questa settimana a uno dei comizi conclusivi il compagno di partito nonché capogruppo dei popolari al Parlamento europeo Manfred Weber, il quale, si è saputo recentemente, aspira anche alla poltrona di presidente della Commissione Ue.

 

Söder non convince con la sua retorica muscolare chi accusa la Csu di non essere più un partito veramente conservatore (tant’è che l’Afd ha fatto campagna elettorale con manifesti sui quali si leggeva: “Franz Josef Strauß oggi voterebbe Afd”) e tanto meno coloro che pur dichiarandosi conservatori non vogliono aver nulla a che fare con i populisti e i nazionalisti. E così, ad approfittare dell’attuale situazione, sempre stando ai sondaggi, sono i Verdi. Sono dati al 18 per cento, mentre restano al palo i socialdemocratici con il 12 per cento. Unica magra per quanto assai relativa consolazione per Söder è che l’Afd è ferma al 10 per cento. Ma come stanno le cose veramente, cosa ne sarà di Söder e cosa di Seehofer, lo diranno le urne.