Appunti bavaresi sul futuro del centro
Il voto in Baviera ci ricorda che c’è un voto moderato da non sprecare. I flussi elettorali e la scala europea
Milano. Ogni appuntamento elettorale in Europa è diventato un test sulle evoluzioni politiche del continente: i sovranisti sono inarrestabili? I partiti tradizionali sono senza speranze? E la Merkel, è finita? Soprattutto: di che cosa si preoccupano gli elettori europei? Il voto in Baviera non fa eccezione, ma al di là dei risultati – la Csu, sorella della Cdu merkeliana, è andata male ma formerà il governo, e probabilmente lo farà con i partiti conservatori a essa più affini, i Liberi elettori e i liberali, mentre i Verdi, che in proporzione hanno ottenuto il maggior successo, saranno all’opposizione – ci sono alcuni segnali che possono essere utili per decifrare lo scontro politico, sociale e culturale in corso in Europa. Soprattutto per quel che riguarda il voto moderato, che si sta ridistribuendo in partiti non tradizionali ma non per questo è defunto: anzi, l’affluenza che è stata molto più alta che nelle tornate precedenti (è passata dal 63 al 72 per cento), non riguarda soltanto i movimenti populisti. E’ per questo che i tedeschi, che amano le etichette e le definizioni, si stanno interrogando su una questione ben precisa: qual è oggi il partito del popolo? La risposta non è immediata: il partito del popolo è diverso dal populismo.
L’Unione – Cdu e Csu – è indebolita, la Csu ha registrato il suo peggior risultato degli ultimi settant’anni (e i suoi ex voti sono andati più verso i Verdi che verso l’AfD) e i sondaggi della Cdu, a livello nazionale e in vista del voto tra due settimane in Assia, non sono buoni: la destra tradizionale non riesce più a essere una “big tent” per il mondo conservatore, le spinte centriste della Merkel allontanano i più conservatori e le spinte radicali della Csu allontanano i moderati. Queste forze centrifughe danneggiano per il momento più i nemici della Merkel che la Merkel stessa, anche se ormai siamo abituati a vedere fotomontaggi della cancelliera con un occhio nero, o a testa in giù o in qualche posa da sconfitta o da disperata. Pure se il futuro della Merkel è meno fragile di quel che i titoli dei giornali ci lasciano credere, l’Unione sta perdendo lo status di “partito del popolo”: dopo dodici anni di governo c’è chi dice che sia anche fisiologico.
I socialdemocratici dell’Spd hanno già perso questo status da tempo: il risultato catastrofico in Baviera ne è l’ultima testimonianza. La classe lavoratrice – stando ai flussi elettorali – si sente più protetta dagli estremisti dell’Alternative für Deutschland che nascevano come il partito del rigore (non volevano salvare la Grecia) e che ora invece stanno introducendo una retorica molto diversa, più socialista (rossi senza essere rossi, dicono i loro strateghi), che ha presa tra i redditi più bassi, con una minore istruzione e tendenzialmente di sesso maschile. La classe medio-alta si ritrova invece più nei Verdi che nell’Spd, e nella Baviera benestante e prospera questo si è visto chiaramente: il popolo socialdemocratico si sta rifugiando in altri partiti o movimenti, e in Germania i Verdi sembrano l’approdo più naturale (oltre che storicamente sensato). Che la “resurrezione verde”, come viene chiamata, possa essere un modello replicabile a livello nazionale tedesco e a livello europeo è ancora tutto da vedere, ma è chiaro che se il “popolo” non sta più con la destra tradizionale né con la sinistra tradizionale, vuol dire che sta cercando un’altra casa. Ma questa casa potrebbe non essere per forza quella del populismo, anzi: per quanto le forze moderate stiano attraversando una stagione di pochi consensi e molte divisioni, con tutta probabilità il nuovo governo bavarese dovrà tener conto più del fattore moderato che di quello estremista. La Csu sceglierà con tutta probabilità la via più semplice, che è quella di allearsi con i partiti più affini, ma la corsa verso destra è per il momento congelata: si è, in altre parole, ritornati più vicini al centro. E i Verdi hanno dimostrato che la variabile identitaria – la “patria”, che negli slogan dei Grünen è stata molto presente – non è né monopolio della destra né incompatibile con una politica europeista e aperta all’immigrazione. L’avevamo dimenticato.