Molti soldi contro Trump. Basterà?
In America l’allergia al presidente si trasforma in “camionate di dollari” via donazioni online ai democratici
New York. “Non avevamo mai visto niente del genere, i democratici stanno ricevendo camionate di soldi”, dice Brian Welsh, un trumpiano che dirige il Pac America First Action al sito Politico (i Pac sono i grandi comitati privati che raccolgono fondi per finanziare i candidati). I repubblicani ammettono che in questa campagna per le elezioni di metà mandato del 6 novembre non c’è gara, i democratici stanno stravincendo la raccolta dei soldi grazie alla partecipazione della loro base elettorale.
Giovedì scorso il capo di un altro Pac trumpiano, Corry Bliss, ha invitato cinquanta lobbisti nel suo ufficio di Washington per dire loro che i candidati repubblicani stanno salendo nei sondaggi, ma devono fare i conti con “l’ondata di denaro” che sta aiutando i democratici. Chi era presente alla colazione racconta che Bliss ha spiegato così quello che sta succedendo: gli elettori democratici vogliono mandare un messaggio al presidente e stanno coprendo di soldi i loro candidati al Congresso con donazioni online. “I democratici stanno ricevendo soldi come non era mai successo prima a causa di Trump. Lui è il grande motivatore”, al contrario.
A partire dalla fine di luglio i candidati repubblicani che competono per i settanta seggi più difficili del paese hanno speso circa settanta milioni di dollari in pubblicità televisive, i democratici ne hanno speso circa centonove. Venerdì la campagna elettorale del democratico Beto O’Rourke, che in Texas sfida il repubblicano Ted Cruz per il seggio di senatore, ha annunciato di avere ricevuto 38 milioni di dollari negli ultimi tre mesi. Nessun candidato senatore aveva mai ricevuto una cifra così alta e il record precedente sul trimestre tanto per dare il senso del distacco risale al 2000 ed era di 22 milioni di dollari per un candidato senatore a New York. Nello stesso periodo Ted Cruz ha raccolto 12 milioni di dollari.
I trentotto milioni di dollari di O’Rourke superano anche le raccolte fondi di alcune campagne presidenziali 2016 e portano il democratico a un totale di 62 milioni di dollari da quando ha cominciato a correre. L’informazione più interessante è questa: la maggior parte dei contributi ricevuti da circa ottocentomila donatori è attorno ai 40 dollari e la metà arriva da fuori dal Texas. In campagna elettorale molte donazioni piccole da tanti donatori sono meglio di donazioni generose da pochi, perché indicano un livello di sostegno popolare robusto e diffuso. Il fatto che molto denaro arrivi da fuori è anche eloquente, il Texas ha una maggioranza repubblicana molto forte fin dal 1994 e se il partito di Trump perdesse sarebbe una batosta. “Spero che il presidente prenda uno schiaffo”, è il messaggio di chi manda online cinquanta dollari o meno a O’Rourke. Il texano ha raccolto così tanti soldi che alla direzione centrale del partito a Washington si chiedono se non sarebbe meglio che ne versasse un po’ per aiutare i candidati democratici che lottano per altri seggi molto difficili da togliere ai repubblicani.
La differenza nella raccolta dei soldi era già molto evidente all’inizio di settembre, quando secondo i dati del Center for Responsive Politics i candidati senatori democratici avevano ricevuto 368 milioni di dollari contro i 258 dei repubblicani – uno scarto del 42 per cento – ed è destinata ad allargarsi nei venti giorni che mancano al voto. Sheldon Adelson, proprietario di molti casinò a Las Vegas e grande sponsor dei repubblicani, ha donato venti milioni di dollari per colmare un po’ il dislivello e aiutare il partito ma Michael Bloomberg, magnate dei media e sponsor dei democratici, ne ha donati ottanta.
Questa supremazia nella raccolta fondi tuttavia non equivale a un vantaggio nei sondaggi. In Texas Ted Cruz è sopra a O’Rourke di circa otto punti e la distanza è davvero difficile da coprire nel poco tempo che resta e in generale tutte le indicazioni danno i repubblicani in ripresa, al punto che non soltanto potrebbero tenersi il Senato (cosa che già era data quasi per scontata) ma potrebbero conservare il controllo anche della Camera dei rappresentanti, che fino a un mese fa era data matematicamente per persa. Se così fosse, ma la situazione è molto incerta, questa grande mobilitazione dei democratici si spezzerebbe contro il blocco trumpiano due anni dopo le elezioni presidenziali.
Dalle piazze ai palazzi