Così il Giappone si è preparato ad accettare una nuova tassa sui consumi
I prezzi che aumentano e la burocrazia difficile. Vedremo se tutto questo inciderà sulla ripresa economica
Tokyo. Se il costo delle pensioni aumenta, e i conti della spesa pubblica non tornano, è necessario aumentare le tasse. Non ci sono ricette alternative, secondo il governo giapponese guidato dal primo ministro Shinzo Abe. Durante un consiglio dei ministri straordinario, Abe ha confermato che la tassa sui consumi aumenterà dall’8 al 10 per cento il prossimo ottobre. Il primo aumento, dal 5 all’8 per cento, era avvenuto nel 2014.
Negli ultimi quattro anni, per ben due volte il secondo incremento era stato rinviato per evitare uno choc sui consumi privati che rappresentano il 60 per cento dell’economia. Shinzo Abe, che è stato appena rieletto alla guida del Partito liberal democratico di governo e – salvo sorprese – resterà al suo posto per i prossimi tre anni, ha detto che “l’esperienza del 2014 ci ha preparati per gestire anche questo aumento. Dobbiamo affrontare due crisi nazionali, cioè l’invecchiamento della popolazione e il basso tasso di natalità. Con la riforma fiscale modificheremo il nostro sistema di assistenza sociale per averne uno che copra tutte le generazioni”.
Serve budget per aprire asili e aiutare le madri giapponesi a tornare a lavorare. Serve budget per pagare l’assistenza sanitaria agli anziani, e l’opinione pubblica è generalmente d’accordo sull’aumento dei prezzi al fine di finanziare i servizi essenziali. Il problema, semmai, è la complessità del sistema che entrerà in vigore il prossimo anno. Quando entrate in un convenience storie in Giappone e acquistate un giornale, in alto a destra il prezzo è accompagnato dall’avviso: “Tassa sui consumi inclusa”. I quotidiani sono considerati (grazie anche all’influenza della lobby degli editori) un bene di prima necessità, come il cibo e le bevande, e dunque non saranno colpiti dall’aumento dei prezzi previsto per il prossimo anno.
Il cibo e i soft drink non saranno tassati al 10 per cento, ma gli esercizi commerciali dove si mangia e si beve sì: vuol dire che lo stesso panino di Mos Burger – la più grande catena giappoense – se acquistato e mangiato a casa costerà il 2 per cento in meno di quello mangiato all’interno del locale. E’ un impatto notevole nella società giapponese e specialmente a Tokyo, dove si mangia ovunque e i prezzi sono molto contenuti: un hot dog e un caffè in un bar qualunque con area fumatori, wi-fi gratis e prese per computer e smartphone – in pratica uno di quei luoghi che in Italia non esistono e che ha cercato di introdurre Starbucks a Milano, tra mille polemiche – costa più o meno 600 yen, 4 euro e 60 cent. Dal prossimo anno ci vorranno 5 euro per avere gli stessi servizi.
Da giorni i programmi tv mattutini mostrano servizi per spiegare che cosa cambierà, soprattutto per preparare i piccoli negozianti alla difficile burocrazia che seguirà l’entrata in vigore della legge. Per esempio, per le piccole e medie imprese sarà possibile il rimborso del 2 per cento di aumento nel caso in cui il cliente paghi online oppure con carta di credito – un modo per disincentivare l’enorme uso di contanti che ancora si fa in Giappone. Le grandi imprese potranno abbassare i costi all’origine per tenere il prezzo finale invariato. Siccome nello stesso negozio potranno esserci oggetti con prezzi variabili, e perfino lo stesso oggetto potrà avere due prezzi diversi – pensate ai convenience store che vendono di tutto, e quelli in cui lo stesso onigiri può essere mangiato all’interno del locale, oppure portato via – il governo aiuterà i negozianti con dei corsi e nuovi registratori di cassa.
Insomma, un sacco di lavoro da fare, e bisognerà vedere se tutto questo inciderà sulla ripresa economica del Giappone e sui consumi, come ha detto Christine Lagarde del Fondo monetario internazionale a Shinzo Abe durante un meeting la scorsa settimana. La strategia del governo di Tokyo però è chiara: bisogna fare cassa. Nel 2018 il Partito liberal democratico ha fatto approvare la “leaving tax”, ovvero 1.000 yen (7,60 euro) per chiunque lasci il paese (si paga nel biglietto aereo ed è una misura che già si usa in altri stati), verrà introdotta dal prossimo anno e aiuterà a finanziare le spese per le Olimpiadi di Tokyo 2020. L’ultima città in ordine di tempo a introdurre una tassa di soggiorno è stata qualche giorno fa Kyoto, che ha intenzione di unirsi alle altre municipalità giapponesi e sfruttare il turismo per pagare le spese. I costi aumenteranno, ma nessuno smetterà di andare a Kyoto, o di mangiare sushi in Giappone, e questo Abe lo sa.
Dalle piazze ai palazzi
Gli attacchi di Amsterdam trascinano i Paesi Bassi alla crisi di governo
Nella soffitta di Anne Frank