Non solo Khashoggi, il mondo arabo ha fatto a pezzi anche la libertà di parola
L’ultimo fatale articolo del giornalista saudita
Roma. “Quello di cui ha bisogno maggiormente il mondo arabo è la libertà di espressione”. E’ questo il titolo dell’ultimo articolo di Jamal Khashoggi pubblicato oggi dal Washington Post. “Il mondo arabo sta facendo i conti con una propria versione della cortina di ferro, imposta non da agenti esterni ma da forze interne in lotta per il potere”, ha lasciato scritto il giornalista saudita scomparso nel consolato saudita di Istanbul lo scorso 2 ottobre e che sarebbe stato ucciso fra atroci torture (taglio delle dita, smembramento del cadavere). Nell’articolo, Khashoggi ricorda che nel rapporto Freedom in the World 2018 solo un paese arabo, la Tunisia, è stato classificato come “libero” e che di conseguenza “gli arabi che vivono negli altri paesi o non sono informati o ricevono informazioni scorrette”, sottolineando come in paesi dove domina “la narrativa controllata dallo stato, la gran parte della popolazione cade vittima di una narrativa falsa”.
Aveva ragione, Khashoggi. Ma i tanti Khashoggi che c’erano sono stati fatti a pezzi, spesso letteralmente, nel mondo arabo. Sulla sorte del giornalista saudita ora si indaga. Ma il caso della libertà di espressione è invece chiuso da un pezzo. Un altro saudita, il blogger liberal Raif Badawi, è stato condannato a dieci anni di prigione e a mille frustate, ma la sua vicenda è stata pressoché eclissata nell’opinione pubblica internazionale. I due maggiori scrittori algerini, Kamel Daoud e Boualem Sansal, sono due esuli in patria e quando hanno da dire qualcosa lo fanno in Francia. Rischiano di fare la fine di un grande scrittore algerino, Tahar Djaout, ucciso dagli islamisti di Algeri. L’intellettuale egiziano Farag Foda è finito proprio come Khashoggi, mentre l’Egitto oggi è caduto nella stagnazione intellettuale fra processi, censure e rinunce. In Sudan, Mahmud Muhammad Taha, l’unico intellettuale islamico anti fondamentalismo, è stato impiccato nella pubblica piazza per aver protestato contro la sharia. Solo per un pelo non ha fatto la fine di Khashoggi anche Naguib Mahfouz, il premio Nobel per la Letteratura troppo tollerante, troppo laico, troppo illuminista, da meritarsi le coltellate islamiste che lo hanno quasi ucciso. Ma non c’è soltanto il mondo arabo. In Iran è immenso l’elenco degli intellettuali assassinati, la Turchia è diventata una immensa prigione per giornalisti e scrittori, mentre in Bangladesh una serie di assassinii per strada di scrittori, blogger e giornalisti ha posto fine alla questione del free speech. Il giornalista e scrittore giordano Nahed Hattar è stato assassinato davanti al tribunale di Amman, reo di aver condiviso su Facebook una vignetta che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto mettere in ridicolo i jihadisti dell’Isis e la loro visione dell’islam. Hattar si è ritrovato a dover rispondere alle accuse di “oltraggio alla religione”. L’Europa stessa è oggi piena di scrittori e giornalisti arabi esuli, dal siriano Adonis in Francia all’egiziano Hamed Abdel-Samad in Germania, passando per Walid al Hussein, il giovane palestinese condannato per blasfemia sotto il regime “moderato” di Abu Mazen, e il turco Can Dündar. “L’eretico di Damasco”, Sadiq Jalal al Azm, fu colpito da una fatwa per la sua critica della religione e costretto a riparare in Germania.
Un rapporto dell’Atlantic Council scritto da Hossam Abouzahr, il fondatore del Living Arabic Project, ha spiegato che il mondo arabo oggi pubblica lo stesso numero raggiunto da sola dalla casa editrice Penguin Random House. La Grecia traduce cinque volte il numero di libri di tutte le ventidue nazioni arabe messe insieme. Non ci sono garanzie che la curiosità, il pluralismo, la vivacità culturale e la libertà di parola possano creare una società arabo-islamica più liberale. Ma di sicuro non lo potranno fare la chiusura mentale e la censura, in medio oriente, in Europa e altrove. La morte splatter di Khashoggi, dopo aver consegnato quell’ultima fatale column sulla libertà di espressione, appare come l’epitaffio di quello che quattro anni fa in una intervista al giornale israeliano Haaretz disse l’algerino Sansal: “Il mondo arabo è morto”.
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