Nella crisi dell'Ena c'è la grande frattura culturale della Francia macroniana
I conti in disordine della scuola che sforna l’aristocrazia repubblicana francese e l’isolamento culturale delle élite
Parigi. “Se i migliori cervelli della République non riescono a mettere a posto i conti, c’è da preoccuparsi”. Il grido d’allarme è di Agnès Verdier-Molinié, direttrice del think tank liberale fondation iFrap, che attraverso il Parisien ha appena reso pubbliche le cifre nefaste dell’Ena (Ecole nationale d’administration), la scuola che dal 1945 sforna l’aristocrazia repubblicana francese, gli alti funzionari e i dirigenti politici.
Dai riservatissimi documenti contabili consultati dal pensatoio parigino è emerso che nel 2017 l’istituto con sede a Strasburgo ha speso 40,8 milioni, ma ne ha incassati soltanto 38, provocando così un deficit di 2,8 milioni. “Con questo ritmo, se non verrà fatto nulla, la scuola sarà in fallimento fra quattro anni”, ha dichiarato al Parisien la presidente dell’iFrap, sottolineando che il vero problema risiede nel costo del personale: 30,9 milioni, che assorbono la quasi totalità della dotazione statale, 31,1 milioni.
Fa un certo effetto constatare che i futuri ispettori delle Finanze e mandarini della Corte dei conti non siano in grado di tenere i conti in ordine, nonostante il ministro dell’Azione e dei conti pubblici Gérald Darmanin abbia assicurato che Bercy sta già lavorando assiduamente con l’attuale direttore dell’Ena, Patrick Gérard, per ritrovare l’equilibrio budgetario entro i prossimi tre anni.
Ma dietro la delicata situazione finanziaria della superscuola da cui sono usciti quattro presidenti della Quinta Repubblica, Valéry Giscard d’Estaing, Jacques Chirac, François Hollande e Emmanuel Macron, si cela una crisi molto più grave, che a differenza di quella contabile non è risolvibile nel breve termine: la crisi culturale delle élite francesi, percepite dal popolo come una superclasse disconnessa dalla realtà, con il loro linguaggio, i loro codici e i loro privilegi, un’oligarchia ermetica e omogenea, che vive barricata dietro i suoi santuari del sapere.
Questa spaccatura tra la nobiltà di stato che si forma all’Ena e la Francia profonda non ha mai smesso di ampliarsi nel corso degli anni, ma da quando è salito all’Eliseo Macron con il suo gruppo di ragazzi superpreparati, che hanno studiato nelle scuole migliori della République e parlano la lingua dei vincenti della globalizzazione, tra i francesi domina un sentimento di isolamento ancor più pronunciato.
Eric Zemmour, giornalista del Figaro, ha detto che questa frattura assomiglia molto alla separazione tra piazza e balcone dei piccoli paesi e delle città italiane prima del clivage sinista-destra instaurato dalla Rivoluzione francese: la novità è che i cittadini di oggi hanno la sensazione di non poter mai accedere al balcone e di non poterlo nemmeno pretendere. Il geografo Christophe Guilluy ha spiegato bene nel suo “Le crepuscule de la France d’en haut” in che modo la Francia dell’“Enarchia” abbia dimenticato progressivamente la “Francia periferica”, mentre il cofondatore di Mediapart Laurent Mauduit non esita a parlare di “Caste” nel suo ultimo libro, puntando il dito contro gli intoccabili di stato e il tribalismo nelle grandes écoles. Mauduit, inoltre, invoca senza mezzi termini la soppressione dell’Ena, che a sua detta, contrariamente a quanto voluto da Charles de Gaulle, non ha garantito alcuna “democratizzazione dell’accesso all’alta funzione pubblica”. La sua riflessione, figlia di una sfiducia generale verso la competenza e dello slogan dominante “uno vale uno”, è condivisa dalla maggior parte dei francesi. E per Macron, che dell’Ena è il prodotto perfetto, riconquistare la loro fiducia non sarà una sfida semplice.
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