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Giudici, monarchici e generali. Ecco tutti gli uomini di Bolsonaro

Maurizio Stefanini

Come cambierà il Brasile dopo il ballottaggio, dove il candidato in vantaggio ha stretto un patto con la magistratura

Roma. “Sarebbe bene che il Supremo tribunale federale, Stf, recuperasse la sua credibilità. Avere un giudice come Sérgio Moro sarebbe opportuno: è un uomo molto considerato”. E così Gustavo Bebianno, presidente di quel Partito social-liberale cui Jair Bolsonaro è affiliato, in un’intervista al quotidiano O Estado de São Paulo ha definitivamente confermato l’asse tra il Trump e il Di Pietro brasiliani. Un asse peraltro già implicito, nelle immagini di una campagna elettorale in cui il magistrato star della “Operação Lava Jato” compariva spesso in primo piano. Finora non ha mai appoggiato esplicitamente Bolsonaro, ma non ha nemmeno rifiutato questo corteggiamento. E bisogna ricordare che gran parte del “popolo di Bolsonaro” coincide con lo stesso “popolo di Moro” che ha tanto sperato nella candidatura del giudice o di qualche altra toga, e alla fine ha ripiegato sull’ex capitano dei parà come seconda scelta.

 

L’annuncio di Bebianno va letto anche come avvertimento al Stf. La scorsa settimana il quotidiano Folha de S. Paulo ha rivelato che imprese collegate a simpatizzanti di Bolsonaro avrebbero pagato agenzie di strategia digitale – prima violazione dalla legge elettorale – per diffondere fake news su Haddad via WhatsApp – seconda violazione –, sulla base di dati telefonici comprati da terzi – terzo reato. Il Tribunale superiore elettorale e la polizia federale hanno aperto un’indagine, inizialmente si è parlato di un possibile annullamento della candidatura da parte del Stf, ed è subito apparso un video minaccioso del figlio del candidato: Eduardo Bolsonaro, a sua volta deputato, ha ricordato che “per chiudere il Stf bastano un caporale e un soldato”. Non soltanto Haddad ha definito il candidato “un capo di milizia padre di sicari”, anche l’ex presidente Fernando Henrique Cardoso – un rispettato centrista, unico tra i quattro capi dello stato finora eletti dal popolo a non essere stato né deposto su impeachment, né condannato – ha detto che i Bolsonaro “puzzano di fascismo”.

  

“Bisogna ricordare che gran parte del “popolo di Jair Bolsonaro”
coincide con lo stesso “popolo di Sérgio Moro” che ha tanto sperato
nella candidatura del giudice dell’inchiesta Lava Jato
o di qualche altra toga, e alla fine ha ripiegato
sull’ex capitano dei parà come seconda scelta”  

 

Nei sondaggi per il ballottaggio di oggi (domenica 28 ottobre ndr) Bolsonaro veleggia verso il 60 per cento e oltre, e dunque la sua preoccupazione principale sembra essere ormai quella di formare la squadra di governo, piuttosto che di arrabattarsi per una vittoria già ottenuta. In particolare, promette di mettere almeno cinque generali a capo dei 15 ministeri a cui vuole ridurre il governo (ora sono 29). Tra loro Augusto Heleno, già comandante del contingente di peacekeeping brasiliano ad Haiti, avrebbe l’incarico della Difesa, e il compito di mandare i militari nelle strade in funzione di ordine pubblico. Un sesto generale gli farà da vicepresidente: Antônio Hamilton Martins Mourão. E un settimo, Fernando Azevedo e Silva, diventerebbe consigliere del nuovo presidente del Stf: José Antonio Dias Toffoli.

 

Un nome di cui si sta parlando molto come possibile ministro degli Esteri è Luiz Philippe de Orléans e Bragança: erede della famiglia imperiale deposta con la rivoluzione repubblicana del 1889, e pretendente al trono. E’ stato già eletto deputato con il partito di Bolsonaro, e sarebbe un Mercosur-scettico: favorevole a revisionare il funzionamento del blocco, e favorevole piuttosto ad accordi bilaterali, in stile trumpiano. Alle Finanze andrebbe però un Chicago Boy: Paulo Guedes, banchiere e privatizzatore entusiasta. Per la verità è stato coinvolto anche lui in uno scandalo giudiziario, ma il presidente cileno Piñera ha spiegato in un forum a Madrid che il suo piano economico “è ciò di cui il Brasile ha bisogno”. Comunque, sarebbe assistito da altri banchieri e top manager. Il direttore regionale per l’America Latina della Bank of America diventerebbe presidente del Banco del Brasile, anche il presidente di Tim João Cox, l’esperto di investimenti Sergio Eraldo de Salles de Pinto, la direttrice di Goldman Sachs in Brasile Maria Silva Bastos e il direttore del Banco de Santander Roberto Campos Neto potrebbero avere degli incarichi. Gli obiettivi sono: ridurre il deficit fiscale dall’1,3 per cento a zero nel 2019 e portarlo in avanzo nel 2020; privatizzare per ridurre il debito del 20 per cento; stabilire un sistema pensionistico alla cilena; una riforma tributaria alla Trump. “Il Brasile non ha mai adottato nella sua storia repubblicana un programma liberale”, ha detto Bolsonaro per spiegare il piano. Però ha subito aggiunto che allo stato resterebbero le imprese strategiche: “Energia, Banca del Brasile, Cassa economica federale e nucleo Petrobras”. E si cercherebbe di evitare in particolare che con le privatizzazioni “i cinesi possano comprare il Brasile”.

 

Bolsonaro, nonostante l’appellativo di “Trump brasiliano” e gli apprezzamenti di Matteo Salvini, tecnicamente non è un sovranista. Piuttosto, è ancora legato al modello di destra autoritaria in politica ma liberista in economia di cui fu proprio il sud America un laboratorio mondiale attraverso il regime di Pinochet in Cile. Però, sono magistrati e militari a dare tono alla sua immagine: gli unici due settori di classe dirigente ad aver mantenuto una forte posizione in questi anni di Lava Jato. La Tangentopoli brasiliana che ha falcidiato politici e imprenditori, mentre il paese si posizionava al primo posto nella classifica mondiale per omicidi ed export di cocaina.

 

La differenza è che Moro e gli altri protagonisti delle indagini che hanno portato Lula e Dilma Rousseff in galera si ispiravano al Mani Pulite italiano, su cui Moro ha fatto studi e da cui ha copiato metodi e istituti. Primo fra tutti, la delazione premiata. I militari, a partire dallo stesso Bolsonaro, sono nostalgici del regime che governò tra 1964 e 1985, e che aveva per conto suo tratti modernizzanti che lo avvicinano più alla Turchia pre Erdoğgan che ad altri regimi militari latino-americani. Da un approccio di dirigismo economico “sviluppista”, a un regime politico che piuttosto che bandire il sistema partitico cercò di razionalizzarlo imponendo un bipartitismo per decreto. Non è detto che giudici e militari andrebbero d’accordo tra di loro, ma soprattutto non è detto che entrambi andrebbero d’accordo con i liberisti.