Bolsonaro ha vinto grazie agli elettori istruiti, che volevano un autoritario nazi-pop
La destra liberal, in Brasile, è stata spazzata via da una diffusa richiesta di ordine. Non di legge, né di progresso. Di ordine
Roma. Non è stata un’invasione di alieni a portare l’ex capitano dell’esercito Jair Bolsonaro, quello della frase “i negri non vanno bene nemmeno per la riproduzione” alla presidenza della quarta democrazia del mondo, un paese di 200 milioni di persone abitato al 50 per cento da neri (7 per cento) e mulatti (43 per cento) più un milione di indigeni, secondo l’ultimo censimento dell’Istituto di geografia e statistica. Il nuovo presidente, il più a destra mai arrivato con libere elezioni al Planalto, ha fatto il pieno dei voti della bella borghesia bianca e istruita del Brasile. Il volgare ex colonnello con giubbottini attillati e sorrisetti da serial poliziesco anni Ottanta è presidente grazie ai voti dei quartieri bene, di quelli che prima votavano per il centro o per un intellettuale raffinato come l’ex presidente Fernando Henrique Cardoso e adesso non sono affatto infastiditi dall’idea di una svolta autoritaria. Anzi, la auspicano. Sono loro ad aver creato il fenomeno dell’ex militare nazi-pop. Lui s’è limitato a non fare quasi per niente campagna elettorale, affidandosi a valanghe di notizie false e a sparate via WhatsApp.
La destra liberal, che seppur esilissima comunque esiste in Brasile, è stata spazzata via da una diffusa e possente richiesta di ordine. Non di legge, né di progresso. Di ordine. Una forte domanda di autoritarismo, banalmente.
Non è soltanto il risultato dell’esplosione dei vecchi partiti dopo le inchieste a tappeto sul finanziamento alla politica e la corruzione, non è soltanto la conseguenza del terremoto della classe dirigente per via giudiziaria. E’ anche la finora inconfessabile voglia di un po’ di autoritarismo che serpeggia da tempo nei tanti, seppur silenti, a cui non è mai andata giù del tutto quella legge per le quote riservate ai neri nelle università voluta dalla sinistra al governo, o quel 20 per cento dei futuri posti nei concorsi pubblici da riservare a neri, o i nuovi diritti dei camerieri a domicilio previsti dalla civilissima quanto detestata legge per regolamentare il lavoro domestico (diritto a una giornata di lavoro non più lunga di otto ore, diritto alla retribuzione dello straordinario: norme rivoluzionarie nel Brasile dell’apartheid di fatto delle cameriere).
La promessa di ordine attraverso una repressione spiccia della delinquenza per via militare e la tolleranza totale per l’uso delle armi da fuoco garantita da Bolsonaro hanno fatto il resto. Alla maggioranza dei brasiliani oggi piace molto la frase di moda “l’unico bandito buono è il bandito morto”. Tra i suoi elettori più convinti ci sono moltissimi giovani, anche neri. Nella Baixada fluminense, per esempio, la regione più nera e più povera dello stato di Rio de Janeiro, popolata da giovani neri e poveri, Bolsonaro ha stravinto e l’approvazione per la sua politica di mano libera alla polizia è plebiscitaria. Eppure il 77 per cento dei minori di 24 anni ammazzati dalla polizia è anche qui composta da giovani neri poveri.
Bolsonaro è stato votato da un eterogeneo 55 per cento di elettorato fatto da evangelici (neri e poveri in maggioranza), dalla maggior parte degli under 30 e, soprattutto, da moltissimi elettori bianchi, istruiti di ceto medio e medio alto. La mappatura del voto è chiarissima: ha vinto in tutte le regioni ricche e bianche del Brasile.
E sono loro, i bianchi brasiliani colti che si esprimono mediamente meglio di Bolsonaro e hanno studiato certo più di lui, ad aver spostato definitivamente i sondaggi in suo favore già alla fine di settembre in modo così netto da ammutolire la destra liberal e convincere quella parte di establishment ancora esitante a spalancare le porte all’ultradestra.
Sembra strano che gli abitanti della patria del lulismo, del Partito dei lavoratori al potere con tutta la sua forza simbolica nonostante l’onda di odio cresciuta via social, si siano improvvisamente ribaltati a destra? Non è successo ora. Già l’ultimo Congresso era il più a destra della storia del Brasile. Già alle penultime elezioni i sindacalisti erano spariti dagli scranni dell’Aula lasciando il posto a un’orda di militanti evangelici ed ex militari di varie provenienze.
Il nuovo Parlamento è per metà composto da debuttanti, eletti da formazioni nate da poco, sigle mai sentite prima, una trentina di partiti dalla ideologia indefinibile, ma quasi tutti di estrema destra. Un esempio per tutti: il Partito social liberale che ha candidato Bolsonaro (approdato al Psl dopo aver visto la sua candidatura rifiutata da altri a destra) nel 2014 aveva un solo deputato, oggi ne ha 52 (militari, poliziotti, un ex attore porno, un ex atleta olimpico, un’agente diventata famosa per un video in cui spara a un ladro o supposto tale). Il gruppo parlamentare principale rimane comunque quello del Partito dei lavoratori, con 56 deputati, ma non è in grado numericamente di contrastare il partito trasversale dell’ultradestra che somma i voti della famosa banda “Bibbia, vacche e pallottole” (religiosi, agrobusiness e politiche securitarie). Il partito trasversale dell’ultradestra ha grande potere d’attrazione sugli eletti con i partitini piccoli. La nuova legge elettorale impedisce l’accesso a fondi per i rimborsi alle formazioni con meno dell’1,5 per cento dei voti o almeno 9 eletti in 9 stati distinti. Ci sono 90 deputati in questa situazione, già pronti a fare le valigie per passare nel partito del presidente.