Il mondo di Bolsonaro
Perché il più incredibile di tutti è il più credibile fenomeno tra i molti da baraccone di un mondo che ha perso la testa
Con Trump, con la fuitina british, con il Truce e Di Maio c’era da consolarsi con l’aiuto di Benedetto Croce: è l’invasione degli Hyksos, una parentesi incidentale nella storia. Una dose da cavallo di irrealtà da collegio elettorale, tra epidemie di oppiacei e risorgenza dell’uomo bianco, nel caso americano. Una bizzarria costosa nel paese che considera l’Europa isolata dall’Inghilterra per via della Manica. Uno sberleffo elettorale demente e cinico del meridione in vena di reddito diffuso e gratuito e del settentrione in cerca di paradisi fiscali impossibili, per l’Italia più cialtrona. Con Bolsonaro in Brasile è diverso, nessuna consolazione: il suo avvento è significativo, uso questa parola grossa e in certo senso imperdonabile, dati i caratteri caligoleschi del nuovo presidente. Il più incredibile di tutti è il più credibile fenomeno tra i molti da baraccone grandguignolesco di un mondo che ha perso la testa. Bolsonaro ha una spiegazione che non lo giustifica ma lo connota come ineluttabile. Se vi guardate la letteratura e i video progressisti sul Brasile vedrete che l’élite lulista e compagnia non sono state sconfitte per eccesso di globalizzazione liberale, come in altre latitudini vuole la vulgata dell’America First, Britannia First e Prima gli italiani, anzi, Bolsonaro si porta appresso una specie di Nicola Porro che ora, con l’aiuto degli evangelici e del capitale internazionale, sistemerà l’economia privatizzandola, mentre lui ci ridà Cesare Battisti.
C’è poco da scherzare. La parola luogocomunista “sdoganato” mi ha sempre fatto un po’ senso. Diciamo che il buon Jair ha “autorizzato” in modo esemplare e chiaro il rispetto per la tortura, l’ansia sociale per la persecuzione poliziesca, l’ammirazione per l’odio verso le donne, specie se non sono abbastanza belle da stuprare, il disprezzo verso i neri, troppo grassi e oziosi, il ribrezzo per gli omosessuali lgbt che dovrebbero morire in un incidente di strada, e intende riabilitare la dittatura dei generali con la sola riserva che non avevano portato a compimento la guerra civile facendo fuori una trentina di migliaia di persone, dissidenti, cosa che a lui piacerebbe ora fare in esecuzione della solita “promessa elettorale”. Quei ciniconi dell’Economist, vista la mala parata ma in prospettiva anche i buoni incassi, ora lo declassano a presidente che ha “istinti autoritari” (e così ho capito perché diffido dell’understatement) e si augurano che le solide istituzioni brasiliane possano arginarlo. Porro e il Truce, da posizioni liberalpopuliste, c’è anche questa variante, lo applaudono in modo scrosciante, di Fico non so e di Di Maio neppure, vedremo.
Resta però assodato che 64 mila omicidi all’anno, una vasta rete corruttiva intorno a Petrobras, e la demagogia lulista dei trabajadores, che ora mi sembra un sogno da rivivere ogni giorno, mentre in passato mi sembrava un pericoloso congegno demagogico, tutto questo fa di Bolsonaro il vendicatore degli afflitti e il legittimo presidente del Brasile. Non hanno tagliato la testa a un Renzao amico dei banchieri, ma a un altro amico del popolo. Non dico altro sennò Paolo Mieli mi mette a posto con la storia del fanfascismo e altre amenità ideologiche del tempo esopico dell’allarme: “Al lupo! al lupo!”, e Ernesto GdL mi rimprovera Nicola Zingaretti. Il mondo è saldamente in mano alle democrazie liberali, in Assia vincono i Verdi, a Parigi il magnifico Benalla veglia su tutti noi, e alla fine il fascismo è arrivato, si dispiega con tonitruante energia, ma nessuno di noi sa cosa mettersi, e quindi rinunciamo alla festa. Un minimo di scorrettezza politica esigerebbe ora di opporre corretti precetti di democrazia liberale al nuovo pensiero e alla nuova prassi dominante, ma sarà per un’altra volta, per un altro decennio.