Il dissidente Saleh denuncia la “tomba” socialista
“Il Nobel della Pace Santos voleva compiacere Maduro e mi ha dato ai torturatori venezuelani”. Il racconto del premio Sacharov
Roma. “Ho portato dei pezzi di lama da rasoio in cella. Fino a quando un giorno, all’alba… Da quel momento, un funzionario ha dovuto dormire nella mia cella ogni notte, con un occhio semiaperto, terrorizzato. Una notte ho cercato di impiccarmi alle sbarre. Il mio carceriere si è svegliato e si è precipitato per salvarmi”. È impressionante il racconto che Lorent Saleh ha fatto al quotidiano spagnolo El Mundo. Saleh fu protagonista delle manifestazioni antigovernative in Venezuela già ai tempi di Hugo Chávez, decidendo poi di autoesiliarsi in Colombia e fondando la ong Operacion libertad. Per il regime chavista, dietro quella ong c’era la destra colombiana. Il regime di Maduro ha imprigionato e torturato Saleh per quattro anni, finché il 12 ottobre ha accettato di trasferirlo in Spagna, dove per la prima volta racconta quanto gli è successo.
Nel 2017 a Saleh era stato assegnato il Premio Sacharov del Parlamento europeo. Per due anni, Saleh è stato nella Tumba, prima di passare all’Helicoide, l’edificio famoso per la forma elicoidale. Doveva diventare un centro commerciale, oggi è il carcere simbolo della repressione politica in Venezuela. La “tomba” è un famigerato centro di detenzione e di tortura. Si trova cinque piani sottoterra, in un edificio nel centro di Caracas chiamato Plaza Venezuela, sede del servizio di intelligence nazionale bolivariano. Camere e microfoni sono dappertutto, per analizzare ogni parola e pensiero dei prigionieri politici. Si hanno notizie di pestaggi, elettrochoc, bruciature, asfissia e minacce sessuali. Un tempo, la “tomba” era il caveau di una banca. Ora ci sono celle di due metri per tre, porte blindate, pareti bianchissime, neppure una finestra, aria condizionata e silenzio assoluto. È la “tortura bianca”, simile a quella nel carcere iraniano di Evin. Isolamento assoluto, mancanza di suoni, colori, movimento. Una vera e propria “morte al rallentatore”.
“La tomba è la tortura tecnologica e psicologica” racconta Saleh al Mundo. “Tutto brilla. Tutto è pulito e bianco. Il silenzio è assoluto; la solitudine completa. Sembra un manicomio futuristico”. Ma oltre al racconto delle torture sotto il regime socialista del chavismo, Saleh fa una rivelazione. L’ex presidente colombiano Juan Manuel Santos aveva dichiarato che la sua era stata un’estradizione legale. “Santos, vincitore del Nobel per la Pace, mi ha rapito e mi ha consegnato in un patto con Maduro” denuncia Saleh.
“Il progetto di Santos – l’accordo con le Farc – si è scontrato con la causa della democrazia in Venezuela. Santos aveva bisogno di compiacere Maduro. Le Farc e i gruppi di narcoterrorismo con cui Santos ha cercato un accordo fanno parte del regime venezuelano. Maduro aveva la capacità di far cadere il processo di pace. Non c’è mai stato un mandato di arresto per un tribunale venezuelano o una richiesta dell’Interpol. Non mi hanno mai presentato davanti a un tribunale in Colombia. Non mi hanno permesso di difendermi. Santos mi ha rapito e mi ha consegnato sapendo cosa mi sarebbe successo”.
Racconta Saleh del “sentimento di essere stato schiacciato dallo stato nella sua massima espressione di violenza e terrore. Letteralmente e figurativamente. Ho sentito il rumore della metropolitana sopra la testa. Pensavo a tutte quelle persone, quei viaggiatori più o meno spensierati. Mi sono detto: ‘Nessuno di loro sa che sono qui sotto, sepolto in un sarcofago bianco’. Ho fatto uno sciopero della fame per 18 giorni per ottenere un orologio. Il difensore del popolo mi ha detto: ‘Dove è scritto che un orologio è un diritto umano?’”.
Saleh ha condiviso il carcere con Joshua Holt, un mormone americano. “Ho visto prigionieri appesi per tre giorni. Questo è ciò che ha ottenuto il chavismo, la più disumana disumanizzazione”. È falso che sia stato liberato grazie all’ex premier spagnolo Zapatero. “Zapatero non ha avuto niente a che fare con il mio rilascio. Sono libero grazie a mia madre, ai giornalisti, ai miei avvocati, al Parlamento europeo e all’indebolimento del regime”. Saleh dice che la fame in Venezuela è uno strumento politico. “Il regime deve sottomettere i venezuelani perché è incapace di convincerli. Non è l’opposizione venezuelana a dover chiedere la resa del regime. Devono farlo le democrazie del mondo”.