L'accordo sulla Brexit e la terza vita di Theresa May
La premier piega il governo ribelle al suo piano sull'uscita del Regno unito dall'Ue dopo un vertice di cinque ore
Le giornate importanti della politica inglese le riconosci accendendo la tv: non c’è nemmeno bisogno dell’audio, bastano le telecamere fisse su “the door”, la porta d’ingresso di Downing Street. Arrivano i ministri, salutano, entrano, i commentatori cercano di interpretare il loro umore, ogni tanto passa il gatto, e si cerca di interpretare anche il suo, di umore, e si aspetta. Oggi, che è il “d-day” della Brexit, il giorno in cui la premier Theresa May ha riunito il suo governo per convincerlo ad accettare l’accordo negoziato con Bruxelles, siamo stati ore a fissare la porta, e nemmeno le passeggiate del gatto sono riuscite ad alleggerire la tensione.
Bruxelles e Londra hanno trovato un accordo, ma non è stato pubblicato un documento, quindi fissando la porta ognuno ha potuto dire un po’ quel che voleva, che poi è quel che è accaduto in questi diciotto mesi di trattative. Per quanto si sa, la Brexit che vuole ora la May è soft, c’è chi dice che non è nemmeno una Brexit visto che la permanenza nell’Unione doganale sarebbe per sempre e questo fa infuriare i brexiteers falchi ma non convince nemmeno i remainers che ormai vogliono soltanto che il piano sia rigettato e che gli inglesi possano dire un’altra volta come la pensano (non c’è definizione migliore di: prenderci per sfinimento).
Per quanto non si faccia altro che sottolineare e denunciare le debolezze della May, sempre sotto assedio dei suoi, la premier ieri si è presentata ai suoi ministri in una posizione di forza: ha ottenuto la collaborazione dell’Europa ed è riuscita a forgiare un piano che è parso per lo più convincente anche ai rigidi colleghi europei. Sul Financial Times, Martin Sandbu la mette in termini molto pratici: al piano della May non ci sono alternative e non c’è tempo per trovarne un altro, quindi o si va con il suo o salta tutto, e il no deal spaventa anche molti dei suoi ministri ribelli. Ieri il Fondo monetario internazionale, con ineffabile tempismo, ha pubblicato un documento sugli effetti del “no deal”: una catastrofe. L’assenza di alternative è da sempre l’arma più potente nelle mani della May: non c’è un sostituto a lei – o almeno, ce ne sono tanti, ma nessuno pare forte – e non c’è un sostituto al suo piano, e questa è tutto sommato una posizione di forza.
E infatti la May è riuscita a ottenere l’accordo dei suoi ministri, dopo molte ore di consiglio e molti dettagli valutati, contestati, ingoiati. Non sappiamo ancora cosa sia successo dietro la porta: nelle prossime ore scopriremo quanto si è litigato e quanto è sfilacciata l’ostentata unità. È accaduta la stessa cosa l’estate scorsa con l’embrione di questo piano approvato nella residenza estiva dei Chequers: tutti a brindare (e i telefoni lasciati all’ingresso, quindi nessun leak) e poi molti a dimettersi. Sarà così anche in questo caso, ci sono già i nomi dei primi che si sfileranno (sono delle donne), ma la May è sopravvissuta ancora, si prepara al vertice europeo e soprattutto al voto in Parlamento: questa è la battaglia che non si può non vincere, e quella che molti, sottovalutando l’inossidabile premier, danno già per persa.