Quanto è doloroso accorgersi che i tuoi politici ti hanno ingannato?
La crisi a Londra, la Brexit facile che non c’era, e il prossimo tormento
Theresa May vive alla giornata, oggi è andata meglio di ieri: il ministro Michael Gove, brexiteer versione liberale, non si è dimesso e non l’ha abbandonata: essendo lui un traditore seriale, è una buona notizia; c’è stato il rimpasto: Amber Rudd è tornata al governo dopo che si era dimessa 200 giorni fa, e c’è un nuovo ministro per la Brexit, Stephen Barclay, sconosciuto e sostenitore del “leave”. Oggi chissà, c’è una mozione di sfiducia che sta prendendo forma, e in Parlamento la premier britannica è considerata molto fragile. La May ha la forza dei sopravvissuti, che è un vantaggio incalcolabile se come lei hai passato gli ultimi diciotto mesi a schivare accuse, tentati golpe, sgambetti, disamore e alla fine ti ritrovi ad aver negoziato con gli europei l’unico accordo sulla Brexit al momento esistente e praticabile. I detrattori nel Partito conservatore (il suo) non hanno un’alternativa, non hanno proposte, non hanno argomenti se non frustrazione e furia, ma questa scompostezza, che si somma a quella di molti laburisti, li rende più brutali, disposti a tutto pur di levar di mezzo la May e il suo piano da sopravvissuta.
Il problema della premier è che nel momento in cui ha ottenuto il risultato più grande del suo tormentato mandato – un accordo sulla Brexit – ha anche tolto il velo dall’inganno su cui si è fondato il suo stesso mandato: il miglior accordo possibile sul divorzio dall’Ue, perché questo è il miglior accordo possibile salvo qualche piccolo dettaglio, è quanto di più lontano da quello che i sostenitori della Brexit si aspettavano. Chi grida al tradimento ha ragione, Brexit non “means” affatto Brexit, la May non ha mantenuto la promessa fatta all’inizio del 2017, perché quella promessa non si poteva mantenere. Non è una questione personale, non è la May che ha tradito, è che la Brexit come liberazione dal giogo europeo, come fuga dalla prigione europea (come è stata sciaguratamente definita l’Ue), saremo soli e più forti nel mondo perché siamo il Regno Unito ed è l’Europa ad avere bisogno di noi non il contrario, era un inganno. Semplicemente questo: un inganno. Era un sogno, un’ambizione, era propaganda, non aveva alcun fondamento, ma poiché era una cosa nuova, mai sperimentata prima, ogni speranza pareva plausibile, e quando qualcuno diceva: no guarda che questa cosa non è possibile, finiva schiacciato dalla retorica sovranista. La May ha alimentato l’inganno perché era l’unico modo per tenere insieme il suo partito e dare seguito alla volontà popolare del 2016, e quando è stata assalita dalla realtà non ha potuto far altro che accettarla: così esce dall’Ue rimanendoci parecchio dentro.
L’inganno è per un politico imperdonabile (vale anche qui, vale anche per noi), ancor più se riguarda una materia esistenziale come l’adesione all’Ue, e ora alla May non resta che il senso di responsabilità. Proverà a portare avanti il suo piano in Parlamento, se sopravvive alle mozioni di sfiducia, e proverà a convincere i suoi che con questo accordo il Regno Unito risolverà la sua questione europea e potrà soltanto stare meglio. Potrebbe anche chiedere di estendere l’articolo 50, che fu fatto scattare con il suo conto alla rovescia quando mezzo paese era immerso nell’inganno, e gli europei potrebbero anche concederglielo. Ma se poi il suo piano sarà stracciato, o se prevarrà la certezza che il piano sarà stracciato, che cosa accadrà? Ci sono diverse alternative, che vanno dal “no deal” con l’Europa alle elezioni anticipate (come se il Labour vincitore potesse ottenere una Brexit più Brexit di questa, paradosso assoluto: non era per il remain, questo Labour?), e poi c’è il secondo referendum che dopo questo inganno appare come la soluzione più sincera: se volete la Brexit questo è l’accordo, se volete uscire senza reti questo è il “no deal”, se avete cambiato idea annulliamo tutto. Il Regno non ne uscirà più forte, e la frattura interna non sarà rimarginata, ma il momento della verità è così: fa male.