La rivolta dei Suv
Niente più lotta per il pane o l’identità, oggi in Francia la nevrastenia da chattamento ha prodotto un insurrezione fiscale
Non so se è il giorno giusto per scriverne, visto che hanno arrestato il supermanager della globalizzazione industriale automotive, come si dice, quel Carlos Ghosn che avrebbe trovato la sua bella convenienza nell’arrotondare a spese dell’azienda ultramondiale (Nissan, Mitsubishi, Renault) il doppio stipendiuccio che percepiva ogni anno intorno ai sedici milioni e spicci in euro, ma la Jacquerie del Suv in terra di Francia è una notizia spettacolare, che in un certo modo fa ombra perfino ai primi fatti politici intrecciati sull’asse Parigi-Berlino da Macron e Merkel, benvenuti e a lungo attesi. In base a informazioni varie, si può pensare che esista una differenza, e non di grado ma di qualità, tra i dimenticati del Suv e i forgotten men o people della Pennsylvania, quella popolazione hillbilly che a forza di respirare aria di ruggine e delocalizzazione si è data a due attività pericolose e autolesioniste, gli oppiacei e il voto a Trump.
Chi abbia viaggiato un poco in Francia o vi abbia vissuto, posto che abbia anche avuto la pazienza e curiosità antropologica di stare a guardare il paesaggio agrario e umano della provincia e il Tg1 delle ore 13 che è tutto dedicato alla France d’en bas e ai suoi costumi e consumi, si è fatto un’idea. Mangiano bene e molto, i mercati rionali sono ricchi e variopinti, maiale rosbiffe formaggi torte salse dolciumi carichi verdure e frutta troneggiano sugli schermi, spesso gruppi dalle città maggiori si trasferiscono nei villages molto ben mantenuti di regola alla caccia di prezzi relativamente bassi e di un lifestyle écolo, peccano di quella che Balzac chiamava concupiscenza immobiliare ovvero abitano sano, piuttosto spazioso, in ambienti rurali puliti e ben serviti da un welfare tra i più generosi del mondo. Talvolta in paese chiude un tabaccaio o un panettiere o, più spesso, un chiosco dei giornali, capita che manchi a distanza decente una libreria, ma in genere le poste, gli ospedali e i presìdi sanitari, la rete delle cose necessarie e garantite dai poteri pubblici, tra le quali una dotazione non irrilevante di gendarmi per la sicurezza collettiva, non mancano. Al popolo immenso dei cacciatori è stato di recente dimezzato il costo del porto d’armi, con scandalo e dimissioni di M. Hulot, il ministrissimo della transizione ambientalista. Sono ben collegati, branches, per via stradale, meno per via ferroviaria stante la vasta estensione territoriale ed esagonale del paese dalla pancia larga e le scelte assiali più necessarie al trasporto collettivo. E qui ci siamo.
Nasce la rivolta dei Suv. I francesi pagano il litro di gasolio o di benzina meno dell’Italia e qualche centesimo, due o tre, in più dei tedeschi. In materia i privilegiati sono gli spagnoli e i tartassati sono i norvegesi. Siamo nella media. E gli aumenti recenti, qualche spicciolo al litro, sono destinati in buona parte a rendere più territoriali, più ambientali, più compatibili con lo stile del paese nella sua ruralità diffusa e pregiata, gli investimenti pubblici. Ne è nata una rivolta fiscale, anzi, una specie di insurrezione a rete con l’obiettivo di bloccare tutto. E una forma di lotta piuttosto curiosa. Una volta c’era l’operaio-massa, ora c’è il macchinone-massa. Una volta i rivoltosi alla Jacques Bonhomme mettevano a rischio la loro vita per il pane o l’identità. I berretti rossi bretoni e vandeani di qualche anno fa erano preoccupati della loro indipendenza, vecchia fissa dai tempi della rivoluzione centralizzatrice. Chi sciopera in genere mette in ballo il peso della busta paga e nega un servizio o una quota di lavoro orario nel settore pubblico o privato. Gli studenti incidono sulla propria formazione e nonostante ogni giocosità rischiano qualcosa. E manifestano e sbandierano e cantano slogan, di norma anche se non sempre inquadrati in comitati o sindacati responsabili di ciò che fanno. Con qualche casseur al seguito.
Ora è diverso. Presi dalla nevrastenia del chattamento, hanno deciso di paralizzare la Francia, cioè di fare blocchi stradali a schiovere, dove tocca tocca, parlandosi sui social, impettiti e indispettiti contro il balzello carburatorio imposto ai Suv, carcasse luccicanti di lamiera a conduzione in gran parte elettronica che per trasmissione marketing e in altri modi arrivano a comporre il piccolo ma non irrisorio patrimonio della famiglia media anche nella ruralità, magari con il contributo delle aziende governate, ristrutturate e rilanciate nel mondo dai Carlos Ghosn. La parola d’ordine di questo ceto medio o medio-basso, i dimenticati della macchina, è “giù le mani dal mio Suv” o, si potrebbe chiosare, “touche pas à ma bagnole”. La cosa non è sanguinosa come la rivolta di Spartaco, ma ci sono morti e feriti e arresti e disagi bestiali per la comunicazione e il trasporto. Molti media li corteggiano. Non sembrano popolarissimi nel resto della popolazione, e perfino un Macron in stato di contrizione per le verità sociali che si era deciso a dire a lingua sciolta va loro incontro con pazienza, senza deragliare dai suoi programmi decisi dalle elezioni, ma riescono a imporre l’idea di una élite di politici e amministratori ricchi che se ne fotte di chi vive lontano dai trasporti collettivi ed è costretto a stare alla stanga del volante della propria auto. Chiunque abbia un Suv o due ora si immagini in lotta, e c’è da esser sicuri che una certa mimesi barocca sia già in corso nell’affluente Europa, e si domandi, prego, se non ci sia qualcosa di surreale, per non dire di minaccioso, in questa nevrastenia sociale disintermediata.