A Roma Lavrov dice che la presenza russa nel mondo è necessaria
Al “MED, Mediterranean Dialogues” il ministro degli Esteri russo elude però le domande su Assad e su Khashoggi
Roma. Sergei Lavrov era a Roma per parlare del Mediterraneo, ospite della conferenza per la sicurezza e la crescita “MED, Mediterranean Dialogues”, organizzata da quattro anni dalla Farnesina e dall’Ispi, l’Istituto per gli studi di politica internazionale. Il ministro degli Esteri russo ha parlato di tutto: medio oriente, sicurezza, nucleare, Ucraina, diritti umani. Un discorso russocentrico, tutto in inglese, in cui ha cercato di far capire che è vero, Mosca è ovunque, fa di tutto. Ma se al mondo forse può sembrare che stia cercando di intrufolarsi in ogni crisi internazionale, sembrava voler dire il ministro, è soltanto perché la sua presenza è necessaria. Non ha potuto non parlare della Nato e del ruolo della Russia nei Balcani che “vengono fatti entrare nell’Alleanza senza chiedere il consenso della popolazione”. Ma Lavrov era alla conferenza soprattutto per parlare di Mediterraneo. E’ arrivato a Roma poche settimane dopo la conferenza di Palermo sulla Libia – il primo fallimento diplomatico del governo gialloverde al quale era invitato anche Lavrov, che però ha mandato il suo vice al seguito di una delegazione con a capo il primo ministro russo Dmitri Medvedev, – e ieri ha detto che la Russia è intenzionata ad avere un ruolo guida nella regione nordafricana “rovinata dai bombardamenti della Nato che sono andati contro la risoluzione delle Nazioni unte sulla no-fly zone”. Ma per il ministro russo, è fondamentale dialogare con tutte le forze libiche, “non fare come stanno facendo altri attori”. Sergei Lavrov è simpatico, si sa, è un bravissimo diplomatico, è ministro degli Esteri dal 2004, conosce tutti gli affari della Russia, ha iniziato a fare carriera con Breznev che lo inviò come consigliere all’Onu. Sa come si sta su un palco, come si cattura l’attenzione e come si eludono le domande, anche quelle più insidiose come quelle che ieri tre giornalisti furenti gli hanno posto sulla Siria e sull’omicidio di Jamal Khashoggi. Riguardo al rapporto tra la Siria e Assad, e in risposta al giornalista che gli faceva notare come la Russia spesso stia con gli stati e non con le popolazioni, il ministro degli Esteri ha detto che il Cremlino agisce nell’interesse della sicurezza della popolazione e che il sostegno ad Assad non è ad personam ma Mosca vuole che siano i siriani a scegliere un nuovo presidente, dopo regolari elezioni. Su Jamal Khashoggi, l’editorialista ucciso nel consolato saudita di Istanbul, il ministro degli Esteri ha detto che anche la Russia vuole la verità, e al giornalista che gli domandava se il Cremlino avesse intenzione di contribuire all’indagine prima di continuare a fare affari con l’Arabia Saudita, il ministro degli Esteri ha risposto che la Russia aspetta i risultati dell’indagine che Riad sta conducendo insieme con Ankara. Senza imbarazzo, come a dire: noi non facciamo come gli altri che portano avanti indagini su di noi, senza di noi.
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