Se la May fallisce in Parlamento l'unica cosa cui badare è l'articolo 50
Cosa succede se Westminster non approva l'accordo sulla Brexit? Esiste un piano b contro il no deal, ma ha le sue complicazioni
Bruxelles. La Corte di giustizia dell’Unione europea oggi discuterà di un ricorso che potrebbe rivelarsi decisivo per fermare gli orologi della Brexit se, come molti temono, Theresa May non riuscirà a far passare a Westminster l’accordo di ritiro avallato domenica dai leader dei 27. I giudici di Lussemburgo si riuniranno in seduta plenaria – un fatto straordinario – su un caso sollevato da una corte scozzese sulla possibilità del Regno Unito di revocare in modo unilaterale la notifica effettuata con l’articolo 50 del Trattato della sua intenzione di ritirarsi dall’Ue. La sentenza potrebbe svelare il segreto meglio conservato dei negoziati Brexit: l’impegno assunto da May nei confronti degli altri leader di fermare la corsa verso una catastrofica uscita senza accordo, utilizzando la revoca unilaterale del ritiro dall’Ue o (cosa più probabile) chiedendo un prolungamento dei 2 anni di negoziati previsto dall’articolo 50.
Per ora l’Ue vuole apparire come un sol uomo dietro a May, ma i brexiteers non si facciano illusioni, ma nemmeno il Labour: le 585 pagine del Withdrawal Agreement non possono essere modificate e nemmeno ritoccate. Da questo punto di vista, rigettare l’accordo significa andare a sbattere fuori dall’Ue in modo caotico. Ma i leader e le istituzioni dell’Ue sono diventati stranamente calmi di fronte al rischio di un “no deal”. Prima del Consiglio europeo dello scorso ottobre a Bruxelles era tutto un parlare di piani d’emergenza, ma nell’ultimo mese e mezzo i toni si sono fatti rassicuranti, e il lavoro di preparazione a un’uscita caotica s’è rallentato. “Le alternative al no deal sono due”, spiega al Foglio un diplomatico: “La revoca della Brexit è improbabile, mentre è realistico immaginare di concedere più tempo sotto strette condizioni”. Per l’Ue, il prolungamento non deve servire a riaprire il negoziato sul Withdrawal Agreement, come vorrebbe fare Jeremy Corbyn. L’estensione dell’articolo 50 deve essere limitata al tempo necessario a convocare elezioni o un referendum che portino a una modifica sostanziale della posizione del Regno Unito sulla Brexit o le relazioni future.
Il piano b contro il no deal ha le sue complicazioni. Per prolungare l’articolo 50 serve l’unanimità dei 27. L’Ue non accetterà che il Regno Unito a maggio elegga suoi europarlamentari. Una marcia indietro sulla Brexit in un secondo referendum imporrebbe di rivedere grandi cantieri come il bilancio pluriennale 2021-2027. Ma il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, ha detto più volte che i britannici possono cambiare idea. “Tutto dipende dalla politica britannica”, dice un secondo diplomatico, che vede “l’opzione Norvegia” come il piano b più semplice da realizzare. Il Withdrawal Agreement non verrebbe toccato. Il prolungamento dei negoziati servirebbe a un nuovo governo a Londra per modificare i piani sulle relazioni future. Il Regno Unito dovrebbe annunciare la sua intenzione di entrare nell’Associazione europea di libero scambio (Efta) e restare nello Spazio economico europeo (Eea). Dopo il periodo transitorio si ritroverebbe così come Norvegia, Islanda e Liechtenstein: dentro il mercato unico. Ma, vista la necessità di un’unione doganale per evitare la frontiera in Irlanda, sarebbe l’apogeo della Brexit anti Brexit: il Regno Unito si ritroverebbe costretto a rispettare le regole Ue, a cominciare dalla libera circolazione dei lavoratori, senza riprendere il controllo della sua legislazione.