“Quel prof. non insegni, è legato alla Manif”. E l'università in Francia lo congeda
A Tolosa un nuovo capitolo della censura in nome della tirannia dei cento contro uno
Roma. Il corpo docenti non ha mai dato grandi prove di coraggio. Dodici anni fa, gli insegnanti fecero terra bruciata attorno a un professore di Filosofia di Tolosa dopo che aveva pubblicato sul Figaro un articolo critico sull’islam, che gli era costato una fatwa jihadista e una lunga peregrinazione interna. Era l’affaire Robert Redeker. Adesso un altro professore di Filosofia di Tolosa, Philippe Soual, membro della società internazionale di studi su Hegel e del centro Cartesio della Sorbona, nonché docente all’Università di Poitiers, si è visto cancellare un corso che doveva tenere da novembre a febbraio proprio su Hegel. La decisione è stata presa dal consiglio accademico dell’ateneo Jean Jaurès di Tolosa, dopo che Soual è stato accusato da un’associazione di studenti, l’Union des EtudiantEs de Toulouse, di essere un “portavoce della Manif pour tous”, il movimento che ha riempito le piazze di Francia per manifestare a favore dell’unicità del matrimonio tra uomo e donna.
Alla notizia della presenza di Soual, un gruppo di studenti Lgbt aveva fatto circolare volantini nell’università dove c’era scritto di non volere che “un luogo dove amiamo essere istruiti, nel quale non dovremmo sentirci vulnerabili e giudicati, apra le porte a questo genere di persone e a questo genere di discorsi. Noi moriamo ogni giorno nel mondo, siamo aggrediti, emarginati, violentati. Che cosa ne sarà del nostro dipartimento? Che accoglienza, che sostegno si vogliono dare alle minoranze?”. Come se la sola presenza di Soual fosse sinonimo di violenza, di esclusione o di aggressione culturale. Il professore di Filosofia non è un portavoce della Manif. Nel 2015 aveva tenuto una conferenza alla terza Université d’été su temi antropologici. Parlando al Figaro che ha raccontato la vicenda, Soual attacca il “monocronismo ideologico” che domina le società occidentali. “Vedendo quei manifesti, i miei colleghi di università si sono incontrati con urgenza e hanno deliberato tra di loro. Hanno preso la decisione di revocarmi il corso”. Soual definisce l’università “il luogo per eccellenza della libertà intellettuale, della ricerca e del dialogo”, dove invece adesso “alcune opinioni sono criminalizzate e stiamo assistendo sempre più a invettive e sospetti”. Il professore dice che oggi “la libertà intellettuale non è più realmente possibile”. Come se il sistema fosse in grado di proteggersi.
E’ di là dall’oceano che sono iniziati gli attacchi nelle università a decine di docenti “colpevoli” di portare idee diverse o controcorrente. Non si contano i casi di professori che si sono licenziati dopo campagne diffamatorie, che sono stati disinvitati, che si sono autocensurati, che sono stati messi in congedo. In un libro appena uscito, Vu en Amérique… Bientôt en France, Géraldine Smith offre una descrizione quasi apocalittica del progressismo americano e che avrebbe contaminato la Francia. Stabilendosi negli Stati Uniti, la giornalista francese Géraldine Smith ha scoperto un mondo in cui la tirannia delle minoranze viene esercitata fin nei minimi dettagli della vita quotidiana. L’America non è vicina, è vicinissima. La guerra dei sessi, l’afrofemminismo, l’indigenismo, la supremazia del gender, l’ossessione per l’identità, il vittimismo ideologico, #BalanceTonPorc... E schiere di aggrediti secondo la regola spietata dei cento contro uno e che prevede come soluzione per chi va nella direzione opposta il silenzio, l’astio, i fanatismi, il cordone sanitario, come se il dissenso fosse ormai a malapena tollerato. Ha ragione Philippe Soual quando dice che “il pluralismo è costitutivo della democrazia”. Ma già l’autore di “Arcipelago Gulag”, Aleksandr Solgenitsin, di cui in questi giorni proprio la Francia celebra i cent’anni dalla nascita e i dieci dalla morte, nel 1984 sulla rivista Le Messager era arrivato a scrivere: “In alcuni paesi occidentali, il pluralismo è solo una parola vuota”.