Perché in Spagna sono tutti nervosi per le elezioni in Andalusia
Il Partito socialista dovrebbe riconfermarsi alla guida della regione, ma dovrà scegliersi un alleato. Ripercussioni a Madrid
Roma. Le elezioni di oggi in Andalusia, regione meridionale della Spagna, sono importanti per un gran numero di ragioni. Anzitutto, si tratta del primo test elettorale da quando Pedro Sánchez, presidente del governo del Partito socialista (Psoe) è asceso al potere scalzando il conservatore Mariano Rajoy. I socialisti governano la regione dal 1982, e la tenuta in Andalusia sarebbe un buon segnale anche a livello nazionale. In secondo luogo, i sondaggi dicono che nessun partito otterrà la maggioranza assoluta di 55 seggi, e dunque la configurazione delle alleanze che si produrrà da lunedì sarà un indicatore di cosa succederà alle alleanze tra i partiti di Madrid. Infine, il voto andaluso è una prima volta anche per Pablo Casado, nuovo leader del Partito popolare (Pp) che è succeduto a Rajoy, e per la sua nuova linea identitaria che ha portato a destra un partito tradizionalmente pragmatico.
Le elezioni anticipate in Andalusia sono state indette in autunno da Susana Díaz, governatrice socialista uscente, dopo la rottura del patto di governo tra Psoe e il partito centrista Ciudadanos. Díaz ha cercato di approfittare dell’ondata di consenso generata dai primi mesi del governo Sánchez (situazione curiosa, visto che la governatrice si era candidata alle primarie nazionali del Psoe ed era stata sconfitta proprio da Sánchez: anche in questi giorni di campagna elettorale farsi sostenere dal vecchio rivale le è bruciato molto, dicono i retroscena sui media spagnoli), ma i sondaggi non la stanno premiando: nel 2015 ottenne il 35 per cento dei voti e domenica dovrebbe ottenere il 33 per cento, secondo le rilevazioni del País. Il Psoe rimarrebbe tuttavia il partito più votato della regione, di gran lunga, e questo sarebbe un vantaggio enorme per la Díaz, perché tutti gli avversari sembrano appiattiti intorno al 20 per cento: il Pp arriverebbe secondo con il 21,4 per cento, Adelante Andalucía, che è la versione locale di Podemos, avrebbe il 19,5 per cento, Ciudadanos il 18 per cento. Questo significa che Díaz ha ottime possibilità di tornare a essere governatrice e di scegliere tra i tre avversari (più realisticamente: tra Ciudadanos e Podemos) quale sarà il suo partner di governo senza subìre ricatti.
La scelta di Díaz potrebbe avere ripercussioni anche a livello nazionale, dove Pedro Sánchez governa in minoranza sostenuto da Podemos. Se anche nella regione meridionale dovesse ripresentarsi un’alleanza tutta a sinistra, potrebbe essere il sigillo per un patto di governo più duraturo. Se Díaz dovesse scegliere Ciudadanos, a Madrid Podemos potrebbe risentirsi.
Pablo Casado del Partito popolare sta facendo campagna incessante in Andalusia, con decine di eventi e con una piattaforma di destra tradizionale (meno tasse, più crescita, occhio di riguardo per le pensioni), ma che in realtà ha un sapore sovranista: l’Andalusia è il luogo di primo approdo per la stragrande maggioranza dei migranti che raggiungono la Spagna dal Mediterraneo, e Casado ha puntato sul malcontento.
La svolta a destra di Casado ha anche un’altra ragione: un partito di ultradestra e anti immigrazione, chiamato Vox, potrebbe ottenere un paio di seggi al Parlamento andaluso, e rosicchiare qualche punto di consensi al Pp. Vox esiste da anni, è un partito estremista che non ha mai avuto peso nel sistema politico spagnolo, ma ha cominciato a guadagnare consensi marginali con la crisi catalana e cavalcando l’ondata populista: i suoi dirigenti hanno avuto perfino contatti (poco fruttuosi) con Steve Bannon. I sondaggi lo danno al quattro per cento, ma se dovesse conquistare almeno un seggio già sono pronti i titoli dei giornali: l’ultradestra sbarca in Spagna. Nella sezione del sito del País preparata per le elezioni andaluse, un quinto degli articoli è dedicato a Vox. E’ il 20 per cento della copertura, per un partitino che vale il quattro.
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