In America i guai di Di Maio sarebbero usciti mesi prima delle elezioni e non dopo
Negli Stati Uniti ci sono le opposition research per trovare i precedenti poco puliti dei candidati. Da noi ci sono voluti nove mesi per scoprire gli abusi edilizi e i lavoratori in nero del vicepremier
New York. C’è un’anomalia enorme nel caso di Luigi Di Maio, che va spiegata con la politica americana. Un mese fa ci sono state le elezioni di metà mandato in America e come succede sempre stampa e avversari politici hanno fatto a gara a chi faceva l’esame più approfondito e invadente alla vita dei candidati. E’ saltato fuori che Stacey Abrams, che correva per diventare governatore della Georgia, aveva bruciato una bandiera della Confederazione nel 1992, ventiquattro anni fa, durante una protesta contro quel simbolo caro ai razzisti. Beto O’Rourke, candidato senatore in Texas, aveva fatto un brutto incidente da ubriaco nel 1998 – ma la storia era ormai così nota a tutti che ormai non era più sfruttabile per colpirlo. Il gioco è chiaro. In tutte le elezioni americane i contendenti e la stampa fanno un fior di lavoro di ricerca chiamato opposition research – abbreviato in “oppo” – per trovare qualsiasi precedente poco pulito nei candidati. Comincia come minimo molti mesi prima del voto e anzi in alcuni casi dura anni. Candidarsi vuol dire rassegnarsi al fatto che la tua vita sarà rivoltata e analizzata al microscopio e che verranno fuori anche le multe e i litigi con l’ex fidanzata del liceo. Il tuo partito ti controlla prima della candidatura (è il vetting), il tuo avversario ti fa controllare appena sa che vuoi candidarti e i giornalisti fanno le loro ricerche indipendenti. La prassi è così consolidata che a volte i candidati giocano d’anticipo e pagano loro una squadra per fare opposition research e vedere cosa salta fuori sul loro conto, in modo da essere preparati quando ci arriveranno gli avversari. Alan Huffman, uno specialista del ramo che ha fatto più di cento di queste indagini personali, spiega al sito politico FiveThirtyEight che fino agli anni Novanta si preferiva non citare questo aspetto sgradevole delle campagne elettorali – era meglio non ammettere di avere assoldato investigatori privati per raccogliere informazioni sul candidato avverso – ma che dagli scandali Clinton in poi questo tipo di operazioni è così ovvio che ormai nessuno si preoccupa più. Anzi. Fa parte dei controlli della democrazia. Più controlli incrociati vuol dire più trasparenza (come gli incontri in streaming, no?). Il New York Times, il giornale che molti lodano ma pochi imitano, ha messo per un anno una squadra di giornalisti a lavorare sulle tasse di Donald Trump.
Ecco, in questo contesto viene da chiedersi: possibile che Luigi Di Maio, che dal settembre 2017 è stato il candidato premier del primo partito politico italiano con sondaggi attorno al 30 per cento – quindi si sapeva che lui avrebbe avuto un ruolo importante, se non il più importante – abbia percorso la sua traiettoria politica senza che nessuno (qualche squadra di cronisti? Qualche oppositore con un minimo di spirito di iniziativa?) abbia mai sentito il bisogno di verificare la sua storia, di vedere casa sua a Pomigliano, le stalle di Mariglianella, di capire perché ha un’impresa edile intestata, quanto guadagnava, se poteva o non poteva non sapere che c’erano lavoratori in nero nell’unica, minuscola azienda di famiglia e altre questioni non secondarie? Stiamo parlando di fatti che risalgono al massimo al 2009 e 2010, praticamente ieri. Durante la campagna elettorale non si è mosso nulla. Il pacchetto Di Maio leader dell’Italia presentato da Casaleggio è stato accettato senza discussioni e senza fare caso al retrogusto di artificiale: oggi è difficile persino trovare una foto di lui, disoccupato che viveva con i genitori, senza giacca e cravatta. Ci sono voluti nove mesi dopo le elezioni perché una trasmissione scandalistica cominciasse a tirare fuori storie poco chiare di abusi edilizi e di lavoratori in nero, che per ora hanno prodotto soltanto un video di scuse da parte del padre del ministro Di Maio – per spiegare che il figlio era naturalmente all’oscuro di tutto. Come noi del resto.