Anche per i senatori americani Bin Salman è responsabile della morte di Khashoggi
La Cia ribadisce di avere le prove del coinvolgimento del principe saudita e contraddice la Casa Bianca. La Turchia chiede l’estradizione di due figure molto vicine all'erede al trono di Riad
Ieri sera l’audizione al Senato del capo della Cia, Gina Haspel, ha smentito la versione della Casa Bianca sulle responsabilità dirette del principe saudita Mohammed bin Salman per l’omicidio del giornalista dissidente Jamal Khashoggi. I dettagli dell’audizione di Haspel rimangono segreti – hanno partecipato solo i senatori più influenti, oltre a quelli che fanno parte delle commissioni per gli Affari esteri, per le Forze armate e per l’Intelligence – ma molti di loro, sia repubblicani sia democratici, hanno rilasciato alla stampa dichiarazioni piuttosto chiare: il segretario alla Difesa Jim Mattis ha fuorviato i senatori quando la settimana scorsa aveva detto in un’altra audizione che “non c’è alcuna pistola fumante” che porti al principe saudita nel caso della morte di Khashoggi. La Cia avrebbe le prove che dimostrano come Bin Salman abbia ordinato l’omicidio, in particolare le comunicazioni del principe con uno degli uomini del commando che ha ucciso il giornalista saudita, avvenute in un orario compatibile con la sua sparizione. “Bisognerebbe essere volontariamente ciechi” per negare l’evidenza, ha commentato ieri il senatore repubblicano Lindsey Graham poco dopo avere ascoltato la versione del capo della Cia. “Credo che Bin Salman sia complice nell’omicidio al più alto livello possibile”, ha aggiunto Graham.
La versione della Cia sembra confermata dalle ultime mosse della procura turca che indaga sull’omicidio del giornalista. Gli inquirenti hanno chiesto l’estradizione in Turchia di due figure molto vicine al principe saudita. Si tratta di Saud al Qahtani, stretto consigliere del principe, e del generale Ahmed al Asiri, capo dei servizi esterni dell’intelligence saudita, accusati dai turchi di avere partecipato all’omicidio di Khashoggi. Entrambi erano già stati rimossi dai rispettivi incarichi nell’operazione di facciata voluta da Bin Salman lo scorso ottobre, per dimostrare al mondo di volere davvero punire i responsabili. Non sono i primi a essere oggetto di un ordine di estradizione emesso dai turchi (in totale sono 18 le persone che secondo il procuratore di Istanbul sono coinvolti nell’omicidio) ma è difficile pensare che Riad acconsenta ad affidarli alla giustizia di Ankara.
Il disappunto dei senatori americani è motivato soprattutto dal tentativo dell’Amministrazione Trump di nascondere le responsabilità della corona saudita. Quando la settimana scorsa Mattis era stato sentito in audizione insieme con il segretario di stato Mike Pompeo, i senatori erano irritati per la mancata partecipazione del capo della Cia, necessaria a loro avviso per avere un quadro più approfondito. La Casa Bianca avrebbe anche minimizzato il ruolo delle forze armate nella guerra in Yemen, dove gli americani sostengono le forze sunnite guidate da Riad contro i ribelli sciiti e filoiraniani degli Houthi. Secondo Pompeo e Mattis, gli Stati Uniti forniscono solo assistenza logistica alla coalizione dei paesi sunniti, nonostante molte ong e organizzazioni internazionali accusino gli americani di partecipare ai bombardamenti in Yemen, dove la guerra iniziata nel 2015 ha causato la più grave crisi umanitaria degli ultimi anni.
Ma se i senatori sono unanimi nell’accusare Bin Salman della morte di Khashoggi, lo stesso non si può dire per le contromisure da adottare nei confronti dell’Arabia Saudita. Alcuni senatori pensano di ridurre gli aiuti militari a Riad, altri propongono sanzioni mirate contro il principe e il suo entourage. In entrambi i casi non è chiaro quanto simili reazioni siano efficaci – o se siano addirittura controproducenti – data la vasta rete di protezione su cui può contare l’uomo più potente del regno saudita. L’ipotesi delle sanzioni avrebbe inoltre un risvolto ancora più negativo: colpire ora Bin Salman significherebbe per gli Stati Uniti perdere il loro alleato principale contro l’Iran. Il dilemma davanti al quale si trovano ora i senatori americani è stato sintetizzato ieri dal repubblicano Richard C. Shelby: “Qualcuno deve pagare ma la domanda è: come separare il principe saudita dalla sua stessa nazione?”.
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