I gilet gialli sono già un fenomeno internazionale, spuntano nelle piazze tedesche anti Merkel e nei siti della destra americana, che festeggiano la fine di Macron, la vittoria del popolo e una conferma del trumpismo
Il gilet giallo è diventato un simbolo internazionale, l’ultima bandiera della battaglia contro la globalizzazione, un po’ nazionalista, un po’ terzomondista, un po’ antieuropeista. Tutta la rabbia del mondo in un giubbetto catarifrangente, non dite che non ci vedete perché brilliamo anche al buio, che compare sui social, sui siti più ideologizzati, nelle piazze degli altri. Macron e il macronismo sono il bersaglio dei gilet jaunes, della “colère !!!” dei francesi (uno dei gruppi Facebook più attivo e ciarliero si chiama “La France en colère !!!”), che hanno iniziato a protestare contro il caro benzina ma si sono accorti che l’occasione era ghiotta, e così si sono messi a pubblicare un comunicato al giorno, una rivendicazione al giorno, per allargare gli obiettivi e gettarsi contro ogni cosa che sa di riforma o, peggio ancora, di liberalismo. Il passo verso il fenomeno internazionale è stato brevissimo, perché Macron è il presidente della Francia ma è anche il testimonial dell’opposizione al populismo, l’europeista che si avvolge nella bandiera blu con le stelline dorate, il politico che definisce “lebbra” il moltiplicarsi di “il-mio-interesse-first” che si è imposto in occidente, con tutte le sue varianti e in tutte le sue geografie, dall’Europa all’America.
Macron e il macronismo sono il bersaglio della “colère !!!” dei francesi ma anche del mondo populista che si mette il giubbetto
Il gilet giallo è comparso sabato in una manifestazione a Berlino, davanti alla porta di Brandeburgo, organizzata da Pegida, il gruppo xenofobo tedesco fondato a Dresda nel 2014 “contro l’islamizzazione dell’occidente”, da Zukunft Heimat (patria del futuro), un movimento anti immigrazione che opera soprattutto nell’est del paese, vicino al confine con la Polonia, e da Merkel-muss-weg-Mittwoch, un gruppo che ogni mercoledì si riunisce per chiedere le dimissioni della cancelliera tedesca, Angela Merkel. Un migliaio di persone, non molte, ma i gilet gialli – già tradotti in gelbe Westen – spiccavano con la loro carica di luce e di novità, un nuovo feticcio da sventolare in faccia ai partiti tradizionali, all’establishment, all’Europa, al sistema.
Originariamente la manifestazione era stata indetta per protestare contro il Global Compact delle Nazioni Unite, il progetto per regolarizzare l’immigrazione e responsabilizzare tutti i paesi membri che è diventato l’ultimo obiettivo della campagna nazionalista internazionale, cui si è accodata solerte l’Italia, che pure avrebbe di che guadagnarci da un flusso di migranti più regolare e da una maggiore solidarietà internazionale (la Germania lo ha approvato al Bundestag la settimana scorsa). Ma l’interesse nazionale è un accessorio che si porta un po’ con tutto, e anche se l’effetto è un pugno in un occhio si fa finta di niente, così assieme ai cartelli contro il Global Compact sono comparsi i gilet, le scritte ancora in francese, “ça suffit”, ne abbiamo abbastanza, e il coro congiunto: voi a Parigi volete tirar giù Macron, noi a Berlino vogliamo tirar giù la Merkel, i nostri propositi sono uguali, forza popoli europei, basta essere trattati come cittadini di seconda categoria, fuori gli stranieri.
L’Alternative für Deutschland, il partito che guida al contempo la lotta all’immigrazione, all’islamizzazione e alla Merkel (ma bacchetta gli amici italiani con le loro manovre finanziarie che contano sugli aiuti europei) non era in piazza sabato, ma aveva già fatto circolare sui social la “solidarietà ai cittadini francesi” e potrebbe organizzare un incontro o una manifestazione nel prossimo fine settimana. Dall’altra parte dello spettro politico, Sahra Wagenknecht, che presiede il gruppo della sinistra radicale Die Linke in Parlamento, ha detto che la protesta dei gilet gialli è “giustificata” e che bene fa il popolo francese a protestare contro un governo e un sistema schiavo “delle lobby economiche”, ma era un pochino rammaricata, perché la piazza in Francia si riempie facilmente, in Germania no, quanto sarebbe bello importare un po’ della “spontaneità” d’oltralpe.
La destabilizzazione è un bottino che molti leader si strattonano e le manifestazioni gialle sono un collante formidabile
Questa spontaneità fa invidia a molti, e i gilet gialli la rivendicano nei loro post sui Facebook, nelle loro pretese anche, che si ammonticchiano una sull’altra immuni alla coerenza, con la colère sta tutto bene, la richiesta di una maggiore democrazia contro un presidente accentratore e la proposta di nominare un generale al suo posto – richiesta arrivata ieri, per bocca di uno dei portavoce dei gilet, che vorrebbe all’Eliseo Pierre de Villiers che è nelle librerie con un memoir che racconta il suo enorme rancore nei confronti di Macron. C’è chi si è detto inorridito da tale invocazione, ma nel filo rosso che tiene insieme gli estremi di destra e di sinistra, i nazionalisti e i terzomondisti, il nero e il rosso, c’è anche il fascino per l’uomo forte e autoritario, che mantiene l’ordine, la disciplina, la sicurezza: un generale, cosa volere di meglio? La spontaneità perde un po’ del suo fascino, ma ci guadagna l’uomo forte del mondo, o l’interprete migliore, che è Donald Trump. Sui siti della destra trumpiana e dell’alt right, i gilet gialli sono ovunque, le immagini delle violenze di Parigi sono “viste come una conferma – scrive il Monde – della strategia del presidente americano sul fronte interno (contro l’immigrazione), su quello esterno (contro l’accordo su clima) e nella critica a Macron”, che in pochi mesi è passato dall’occhiolino e dall’abbraccio di Trump a una serie ininterrotte di accuse (Trump ha anche tuittato sui gilet gialli). Dai commentatori di Fox News fino a Breitbart, passando per i siti legati all’alt-right si continua a festeggiare la rivolta del popolo francese contro la globalizzazione e l’antitrumpismo di Macron, e questa piazza – raffigurata in tutta la sua violenza, perché il caos è già di per sé fallimento – diventa lo spot più potente dell’America first di Trump. Al punto che una delle voci più rilevanti dell’emittente russa Rossiya 1, Dmitri Kisselev, che conduce una trasmissione domenicale che pare piaccia molto al Cremlino, dice: il giallo è il colore di questa rivoluzione francese e tutte le rivoluzioni colorate in Europa hanno un’unica regia, ed è americana. E’ tutto capovolto in questo mondo in cui la destabilizzazione è il bottino da strattonarsi, ma il gilet giallo ha smesso di essere un manifestante contro Macron e contro la politica del governo francese: è già un simbolo di qualcosa di più grande e il fatto che i partiti francesi non siano ancora riusciti a intestarsi la piazza non deve creare troppe illusioni. Sulle barricate da un lato ci sono i gilet e i loro amici internazionali, dall’altro c’è la democrazia e c’è l’europeismo: ci siamo noi.
Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi